Continuità aziendale, la “parola magica” dietro l’adozione del bilancio del Casinò

Il bilancio 2017 predisposto da Di Matteo non era stato approvato per ben tre assemblee. Dopo l'insediamento dell'au Rolando, è stato adottato. Perché?
Da sx Filippo Rolando, Stefano Aggravi e Mario Borgio
Cronaca

Continuità aziendale. E’ questo lo scoglio attorno al quale si è giocato il destino del bilancio 2017 della “Casinò de la Vallée” Spa. Predisposto dall’allora amministratore unico Giulio Di Matteo, il documento contabile non ha incassato il “semaforo verde” del socio principale, – l’amministrazione regionale (che detiene il 99.9% del capitale della Casa da gioco) – vincitore di un lungo “braccio di ferro” tra governance e proprietà, protrattosi per ben tre assemblee, il 14 e 28 settembre e il 9 ottobre scorsi.

La Regione vota “no”

Tempo un mese – durante il quale a Di Matteo sono succeduti prima un Consiglio d’Amministrazione (rimasto in carica appena diciassette giorni) e poi il torinese Filippo Rolando (nuovamente in veste di amministratore unico) e, lo scorso 9 novembre, quel bilancio è stato adottato, senza variazioni nelle cifre. Cos’è successo? Lo si scopre dal verbale dell’assemblea sociale, in cui è messo nero su bianco che la Regione, rappresentata dall’Assessore al Bilancio Stefano Aggravi, “aveva espresso voto contrario” per “le significative incertezze in tema di continuità aziendale”.

In particolare, la scelta di non esprimersi a favore “era rappresentata, fra l’altro, dalla mancata condivisione” dell’amministrazione regionale rispetto a quanto dichiarato dall’avvocato Di Matteo (nominato dalla Giunta regionale presieduta da Pierluigi Marquis, nel 2017, con Albert Chatrian alle Finanze) “di condizionare la continuità aziendale all’erogazione di ulteriori supporti finanziari, peraltro caratterizzati da possibili profili di incompatibilità con la normativa vigente (sia nazionale che europea) e all’individuazione di ulteriori misure di risanamento che implicavano la modifica sostanziale, a distanza di poco tempo, del piano di ristrutturazione approvato”.

L’idea del Concordato

A quel punto, “licenziato” Di Matteo, in totale assenza di sintonia con la proprietà, ed esaurito in un lampo il mandato del Consiglio d’amministrazione guidato da Manuela Brusoni, il nuovo au Rolando ha valutato la situazione, formulando la proposta di “un nuovo piano di riorganizzazione aziendale e di ristrutturazione del debito”, da predisporre “nell’ambito di una procedura di risanamento che verrà posta in essere sotto il controllo del Tribunale”.

Si tratta del concordato preventivo “in bianco”, richiesto al Tribunale la prima volta il 31 ottobre scorso. L’istanza, tuttavia, viene giudicata inammissibile pochi giorni dopo, perché sprovvista del bilancio 2017 approvato. A quel punto, visto l’esito, la Regione, nel giudicare lo scenario tratteggiato dalla nuova governance sostitutivo delle “incertezze” in fatto di continuità aziendale paventate da Di Matteo, “ritiene necessario procedere all’approvazione del progetto di bilancio ai soli fini della riproposizione dell’istanza di concordato”. L’ottica è il “risanamento dell’azienda, anche a tutela del mantenimento del patrimonio sociale e nell’interesse di tutti i creditori”.

Le valutazioni di Rolando

Tali motivazioni sono “rafforzate” da una serie di valutazioni racchiuse in una “dichiarazione integrativa dell’amministratore unico” sul bilancio dello scorso esercizio. Secondo Rolando, la “principale causa dello stato di crisi finanziario è una strutturale e reiterata situazione di perdite operative protratte nel tempo, dovute principalmente all’esistenza di costi strutturali spesso non giustificati dalle dimensioni e dalle esigenze della gestione ordinaria”. L’intervento iniziale viene immaginato in “una energica operazione di riorganizzazione virtuosa poiché, da un primo esame, paiono esserci ampi spazi di manovra in questo senso”.

La governance osserva poi che “gli interventi già posti in essere sui costi del personale, senza entrare nel merito delle modalità adottate (Legge Fornero), hanno prodotto insufficienti effetti positivi aggravando, al contempo, la situazione di liquidità della società” e che “si è osservata una sostanziale tenuta dei dati nel giocato ed un lieve miglioramento dei flussi di cassa”. Valutazioni per cui Rolando sostiene che “la crisi potrebbe essere superata mediante una operazione incrociata di ristrutturazione del debito e di riorganizzazione aziendale finalizzata ad adeguare realisticamente la struttura operativa alla dimensione dei fatturati”.

Il piano complessivo di risanamento verrà declinato “in aderenza alle prescrizioni della legge fallimentare”. E’ il documento che il Tribunale di Aosta aspetta dal Casinò entro l’11 gennaio 2019, termine fissato a seguito dell’accoglimento della nuova richiesta di concordato, corredata dal bilancio 2017 approvato. I giudici Tornatore, Bonfilio e D’Abrusco hanno, inoltre, nominato commissario giudiziale il commercialista torinese Ivano Pagliero, chiamato a vigilare sull’attività aziendale.

“Non mi lascerò fallire”

L’au, però, vuole giocare a scanso di equivoci (anche perché sulla Casa da gioco pende pure l’istanza fallimentare depositata dalla Procura, che è “congelata” dall’ammissione al concordato, ma può tornare in auge ad ogni intoppo) e si spinge ad aggiungere che “qualora dovesse accadere che le condizioni interne operative o ambientali rendano impossibile il raggiungimento” dell’obiettivo di risanamento, “non si esiterà ad assumere le conseguenti determinazioni e ad intraprendere iniziative di carattere liquidatorio”. In parole povere, sarà lui a chiedere il fallimento e non a lasciarsi dichiarare fallito da altri soggetti.

Alle prese con la formulazione del Piano di concordato, nel quale dovrà indicare tempi e modalità di soddisfazione dei creditori (a seguito dei rispettivi accordi con loro), Rolando si trova però anche un altro “alert” acceso sul cruscotto. All’assemblea del 9 novembre, il Collegio sindacale ha osservato che, sulla base della situazione economico-patrimoniale al 30 settembre scorso, “le perdite eccedono per circa 23mila euro il terzo del capitale sociale”. Un caso previsto dal Codice civile, che richiede provvedimenti conseguenti. In quell’occasione, i soci hanno stabilito di rinviarne l’adozione “ad una successiva seduta assembleare”, ma la norma prevede che si agisca “senza indugio”. Un termine indefinito, ma non infinito.

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