“Insulti, minacce e brutali violenze fisiche” all’ex compagna: cinque anni di carcere ad un aostano

Mario Giovanni Valter Calisi, compositore e musicista 58enne, è stato condannato inoltre a risarcire la donna, uno psicologo, con 50mila euro. Il pm Ceccanti: "attività di quotidiano sadismo" dell'imputato nell’arco di anni di convivenza.
Violenza donne
Cronaca

Fatti di “sconcertante gravità”, rappresentati da un’“attività di quotidiano sadismo”, che “ha annullato fisicamente e umanamente la parte lesa”, fino a toglierle “la forza di alzarsi al mattino”. Non ha avuto esitazioni il pubblico ministero Luca Ceccanti nel definire, durante l’udienza tenutasi al Tribunale di Aosta nella mattinata di oggi, mercoledì 12 dicembre, le accuse per cui il 58enne aostano Mario Giovanni Valter Calisi è stato condannato a cinque anni di carcere per maltrattamenti ai danni della ex compagna.

Nel chiedere al giudice monocratico Marco Tornatore di considerare l’imputato, un compositore e musicista, responsabile del reato contestatogli, il rappresentante dell’accusa ha evocato “insulti, minacce e brutali violenze fisiche” inflitte dall’uomo alla donna, con la quale aveva iniziato a convivere nel 2001 a Torino, per poi trasferirsi in Valle d’Aosta, dove la relazione, a seguito degli episodi finiti al centro del giudizio, ha avuto fine nel 2015

Evocando la difficile deposizione in aula della compagna, uno psicologo con un impiego in un’azienda sanitaria locale della Lombardia, il pm ha ricordato, tra l’altro, l’emergere di percosse con un badile e di pugni in faccia, nel 2014. Azioni per cui, ha sottolineato Ceccanti, lei “ha smesso di uscire di casa, di incontrare persone, di spendere i suoi soldi, di dire no. Ha smesso di vivere. Lo ha fatto perché questa era la volontà dell'uomo che si è scelto”. 

L’imputato, ha continuato il pm, ha agito “in modo metodico, non solo picchiando, svilendo, ma facendo pesare la sua presenza quotidiana: ‘io sono il padrone, tu la serva. Mi fai schifo, non vali niente’”. Un “diluvio di violenze fisiche e verbali” che ha trovato un ulteriore aspetto inquietante, come aggiunto dal sostituto procuratore, nell’esito del tentativo della parte offesa di rispondere, di sottrarsi, visto che “avevo gli strumenti”, anzitutto intellettuali, per farlo. Al riguardo, il pm, non senza un mesto sgomento, ha citato ancora la testimonianza della donna, che concluse: “non li avessi avuti non mi avrebbe picchiata così tanto”.

“Ad un certo punto, – è stato un altro passo della deposizione ripresa dal pubblico ministero – lui era ossessionato dal mio cervello. Quando qualcuno diceva che ero intelligente, lui impazziva”. Definendo i riscontri raccolti da altri testimoni intervenuti alle udienze (tra i quali un medico condotto che ha confermato un “occhio nero” e di “averla trovata in stato di prostrazione”) un “compendio probatorio oltre ogni dubbio”, e sottolineata la recidività dell’imputato, “già condannato per fatti identici nei confronti della precedente moglie”, il pm Ceccanti ha chiesto una pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione.

L’avvocato di parte civile, in aggiunta alla ricostruzione dell’accusa, ha ricordato come la donna avesse “perso l’impiego a seguito delle protratte assenze” generate dalla condizione in cui era gradualmente scivolata ed ha posto l’accento sulle spontanee dichiarazioni rilasciate al giudice dall’imputato, concluse – ha scandito il legale – “affermando: ‘se ho fatto quel che ho fatto è perché le ho voluto bene’”. Una frase ritenuta dall’avvocato sia corroboranti delle contestazioni, sia la testimonianza della “visione distorta” che animava Calisi nel rapporto.

Di assenza del “riscontro probatorio” alle “dichiarazioni della persona offesa” ha parlato invece il difensore dell’imputato, l’avvocato Maurizio Grasso del foro di Torino. Nell’arringa culminata nella richiesta di assolvere il 58enne, ha dipinto come “inattendibili” le parole della donna, per motivi legati sia “al suo passato travagliato, con enormi problemi economici”, sia al giudicare “inverosimile che una persona laureata in psicologia non abbia trovato le energie per sottrarsi a quanto lamentato”. 

Il legale ha quindi sottolineato: “la signora si è allontanata volontariamente dall'abitazione con un messaggio WhatsApp. Non era costretta, Non era controllata”.  “È stato lui – ha aggiunto – a favorirne la crescita professionale, pagando gli studi universitari. Lui voleva che si rafforzasse la sua posizione professionale: la accompagnava, la supportava. Non è vero che assisteva ai colloqui con i pazienti per controllarla. Ne sarebbe potuto essere citato uno per testimoniarlo. Non è accaduto”. 

Il difensore ha chiuso la discussione citando uno studio “di università americane” per il quale “il 97% delle cause di maltrattamenti sono false o gonfiate”, perché “connesse a procedimenti civili” e ne diventano quindi lo “strumento per l’esito”. Una statistica che pare aver lasciato piuttosto indifferente il giudice Tornatore: oltre ad incrementare la richiesta detentiva avanzata dal pubblico ministero ha disposto, a carico di Calisi, un risarcimento di 50mila euro a favore della parte civile.

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