Maltrattava la moglie, campione di volo in mongolfiera condannato a 2 anni di reclusione
Il campione di volo con le mongolfiere Igor Charbonnier, 39 anni di Aosta, è colpevole di maltrattamenti, ma solo nei confronti dell’ex moglie (per gli episodi che avrebbero coinvolto le figlie è stato assolto “perché il fatto non sussiste”) e soltanto per quanto commesso dal gennaio 2011 in avanti. Una colpevolezza da scontare con 2 anni di reclusione, ma la pena sarà sospesa se, entro tre mesi dall’esecutività della sentenza, risarcirà integralmente il danno subito dall’ex consorte, stimato in 18mila euro.
Così ha deciso nel primo pomeriggio di oggi, mercoledì 16 settembre, il giudice monocratico del Tribunale di Aosta, Marco Tornatore, dopo una camera di consiglio che ha scritto la parola “fine” ad un processo nel quale sono sfilati in aula, in più udienze, undici testimoni, tra familiari dell’imputato, dell’ex moglie ed amici della coppia.
A denunciare Charbonnier era stata proprio l’ex consorte e madre delle sue figlie, nel febbraio scorso. Secondo lei, i maltrattamenti erano iniziati quando i due erano ancora fidanzati, nel 2002, e si sarebbero protratti per tutti e tredici gli anni trascorsi assieme, in una vera e propria “escalation” di insulti, soprusi fisici, violenze verbali, sia ai suoi danni, che a quelli della prole.
Per quelle accuse, all’indomani della denuncia, il giudice delle indagini preliminari Maurizio D’Abrusco aveva anche emesso un’ordinanza di misura cautelare. Charbonnier era rimasto agli arresti domiciliari nella sua casa di Porossan, con braccialetto elettronico, dal 12 marzo al 19 maggio scorsi. Il provvedimento era quindi stato revocato dal giudice Tornatore.
L’udienza di oggi si è aperta con le dichiarazioni spontanee dell’imputato, che ha affermato di “non riconoscersi nelle accuse che mi vengono rivolte. Non nego di aver litigato con la mia ex moglie: urla, intemperanze verbali, non su questioni importanti”. Charbonnier è quindi entrato nel merito di alcuni episodi specifici ed ha concluso, con la voce soffocata dai singhiozzi, “di non essere il mostro che è stato dipinto, con tanto di foto e nome sui giornali”.
Nella requisitoria finale, il pubblico ministero Luca Ceccanti, prima di chiedere una condanna a due anni e sei mesi di reclusione, ha insistito sulla dimostrazione della continuità della condotta dell’imputato, presupposto fondante del reato di maltrattamenti. Secondo l’accusa, la prova “molto puntuale” è fornita in primo luogo dalla deposizione dell’ex moglie. “In aula, – ha detto – lei non ha mai vacillato. Ci ha detto di come sono iniziate le aggressioni. Del primo schiaffo ricevuto. Delle varie fasi attraversate dall’imputato. Non si è parlato di alcuni episodi, ma di un modo di fare quotidiano. Andato avanti per tredici anni”.
Un quadro, secondo l’accusa, suffragato pure dalle dichiarazioni di alcuni testimoni. In particolare, per il pubblico ministero, “molto importanti” vanno considerate le parole dalla testimone di nozze ed amica di vecchia data dell’ex moglie. “Ha detto – è stata l’osservazione del pubblico ministero – di non aver mai assistito ad episodi di violenza e poi è stata messa al corrente di tutto, dall’ex moglie di Charbonnier, subito dopo la denuncia. Diventa ardito sostenere che lei si sia inventata, in una volta sola, anni di soprusi per dare credibilità alla querela depositata”.
Per l’avvocato di parte civile, Orlando Navarra, fondamentale ai fini della colpevolezza va vista la memoria prodotta dallo stesso Charbonnier. “In essa – ha affermato – lui cerca di negare l’accaduto, ma offre una lunga serie di conferme agli episodi contestati. Conferma, ad esempio, il rovesciamento di acqua e di un piatto di pasta in faccia all’ex moglie, la rottura del suo cellulare ed altro. Tutto il quadro converge verso un livello di sopportazione storico della donna che aveva sposato. Siamo in presenza della massima attendibilità della parte offesa e dell’altrettanto massima inattendibilità della difesa dell’imputato”.
Il team difensivo di Igor Charbonnier, composto dagli avvocati Nilo Rebecchi e Laura Mangosio, ha giocato su vari fronti. Anzitutto, la forte sottolineatura che, dagli atti del processo, “non emergesse alcunché ai danni delle figlie”. Dopodiché, i legali dell’imputato hanno ricostruito la collocazione dei vari fatti contestati nel tempo, arrivando a sostenere che “per la loro distanza l’uno dall’altro, si può dire che i singoli episodi ci siano stati. Charbonnier stesso li ha ammessi, ma erano determinati da litigi contingenti e non convergenti nella continuità che concretizza i maltrattamenti”.
La difesa ha quindi sottolineato la contradditorietà ravvisata in alcune testimonianze. “Trovo strano che il pubblico ministero – ha detto l’avvocato Rebecchi – trovi utili per l’accusa le parole dell’amica dell’ex moglie. Io le trovo, in realtà, molto significative per la difesa. La conosce da vent’anni ed è colta da stupore quando viene messa al corrente dei fatti denunciati. Un’attendibilità che scende ancora se il giudizio viene esteso ad altri testimoni sentiti in aula”.
Da queste considerazioni, la richiesta di assoluzione per Charbonnier, sia nei confronti della moglie, sia delle figlie. “L’ipotesi di reato di maltrattamenti – ha concluso l’avvocato Mangosio – richiede presupposti ben precisi. Se non ricorrono, bisogna avere il coraggio dell’assoluzione, o di inquadrare gli episodi oggetto dell’accusa in altra fattispecie di reato”.
Una strada che il giudice Tornatore ha percorso in parte. Quanto commesso da Charbonnier dal 2002 a gennaio 2011 costituirebbe minacce, ingiurie e percosse. Reati per i quali, però, l’ex moglie non l’ha denunciato (la querela è stata sporta per maltrattamenti) e non è quindi possibile procedere nei suoi confronti. Nessuna responsabilità verso le figlie e colpevolezza per i maltrattamenti verso la consorte (dalla quale si è separato consensualmente) dal gennaio 2011 al febbraio 2015.