La Saison culturelle torna in presenza allo Splendor con il Quatuor pour la fin du Temps
La rassegna che ogni anno propone spettacoli presso il Teatro Splendor di Aosta non ha aspettato ottobre per ripartire. Nell’attesa di una stagione “normale”, la Saison ha infatti programmato per questo primo semestre 2021 un ricco calendario che unisce spettacoli già decisi con artisti di fama nazionale ad una vivace presenza di valdostani, selezionati con una Open Call. 15 spettacoli in tutto, da aprile a giugno, a cui si può assistere in sala, con disponibilità di posti limitata e obbligo di mascherina almeno chirurgica, oppure gratuitamente in diretta streaming. Il prossimo appuntamento sarà il 27 e il 28 maggio con lo spettacolo dei “The Black Blues Brothers”, più volte rimandato e confermato per questo weekend grazie alla possibilità di garantire la presenza del pubblico in sala.
Se infatti la speranza di esordire in presenza ad aprile era stata disattesa, ieri finalmente il pubblico si è riappropriato dei suoi spazi di cultura e ha potuto assistere ad un appuntamento che già di per sé prometteva intense emozioni. Sono state infatti le note del Quatuor pour la fin du Temps, uno dei più alti esempi di musica cameristica del ventesimo secolo, a colorare la sala dello Splendor, in una magistrale esecuzione da parte di validi professionisti di musica classica, a cui la Saison assicura sempre spazio accanto alla realtà culturale locale. Insieme a Davide Bandieri, primo clarinetto solista dell’Orchestre de Chambre de Lausanne, si sono esibiti Alessandro Mercando, docente di pianoforte e filosofia della musica al Conservatoire de la Vallée d’Aoste, e due musicisti entrambi valdostani e membri dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, il violoncellista Stefano Blanc e la violinista Giulia Marzani.
La performance è stata preceduta e intramezzata dai commenti in francese dell’attrice Alessandra Celesia, dedicati alla tristemente nota storia legata alla composizione di Messiaen. Il Quatuor pour la fin du Temps è infatti stato concepito nel campo di prigionia tedesco Stalag VIII A di Görlitz, dove Olivier Messiaen, il violoncellista Etienne Pasquier, il clarinettista Henry Akoka e il violinista Jean Le Boulaire si conobbero nel 1940. L’ufficiale nazista responsabile dello Stalag era appassionato di musica e lasciò lavorare il compositore in vista di un concerto al campo, che ebbe luogo il 15 gennaio 1941 davanti a 5000 prigionieri, in condizioni di povertà materiale (pare che i tasti acuti del pianoforte restassero abbassati una volta suonati e che il violoncello di Pasquier avesse solo tre corde) ma non spirituale. Per capirlo è sufficiente leggere i titoli di alcuni degli 8 movimenti: Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps, Louange à l’Éternité de Jésus (la splendida “frase, infinitamente lenta, di violoncello” accompagnata solo dal pianoforte), Louange à l’Immortalité de Jésus (lungo solo di violino accompagnato dal pianoforte). Il Quatuor è infatti dedicato all’Apocalisse, ovvero alla fine del tempo per definizione, ma Messiaen non voleva “in alcun modo realizzare un commento al libro della Rivelazione, ma semplicemente giustificare il [suo] desiderio di cessazione del tempo”.
Nel testo illustrativo iniziale, Alessandra Celesia ha dato voce alle parole del compositore stesso, piene di quell’afflato religioso, pregno di riflessione filosofica, che scaturisce anche dallo spartito del quartetto, che – secondo il racconto posteriore, dal carattere quasi leggendario, fatto da Messiaen e sua moglie – fu composto nelle latrine del campo di prigionia. Sembra incredibile che questa musica così rivolta verso il trascendente possa essere nata in simili condizioni, ma forse solo nell’inferno del campo Messiaen, l’unico credente fra i musicisti del quartetto, avrebbe cercato ispirazione nel canto degli uccelli per comporre la Liturgie de cristal e il celebre terzo movimento per clarinetto solo, Abîme des Oiseaux. Forse anche noi abbiamo invidiato il volo degli uccelli durante i mesi di lockdown e soprattutto oggi, a 80 anni di distanza dalla sua prima esecuzione, il Quatuor pour la fin du Temps si riveste come non mai di significato per noi e per questo nostro graduale ritorno al teatro, alla musica e alla libertà. Come disse un prigioniero la sera della prima, anche oggi “questa musica ci riscatta tutti”.