Smart working in Regione, un bilancio in chiaroscuro

L’80% di chi poteva ha attivato il lavoro in smart working. Una percentuale così massiccia nel futuro è disfunzionale per il capo del personale della Regione che sottolinea: “Troppi dirigenti non presenti in ufficio”.
Smart Working
Economia

Dal 12 marzo la maggioranza dei dipendenti regionali è andato in smart working. Hanno scelto e ottenuto di attivare il lavoro da casa, magari solo per alcuni giorni a settimana, 1.593 lavoratori, più dell’80% dei duemila che potevano farlo.

Per una quota di lavoratori regionali, invece, lo smart working era impossibile per la natura stessa delle loro mansioni. Parliamo ad esempio dei Vigili del Fuoco, dei forestali, dei cantonieri, degli autisti e degli uscieri: circa 400 unità sui 2400 dipendenti della Regione.

L’obiettivo primo di questa adesione massiccia al lavoro a distanza, diverso dal telelavoro perché privo ad esempio di orari o di vincoli logistici, era quello di preservare la salute dei dipendenti e fermare il contagio durante l’epidemia. Obiettivo raggiunto. “Il primo dato è che sul posto di lavoro registriamo zero contagi, quindi per me il risultato è stato ottenuto” ci spiega Igor Rubbo a capo del personale in Regione.

Le cose si complicano ora in quella che viene definita la fase 2. Se nella fase più critica, su base giornaliera, si registravano circa 600 attivi in servizio, ora il numero è salito, ma non di molto. Siamo ad una media di 750 lavoratori attivi in presenza al giorno, di fatto il 50%. E dall’esterno iniziano a levarsi le prime critiche e perplessità sul fatto che la macchina amministrativa risulti “ingessata”.

“Molti se lo dimenticano ma noi siamo in amministrazione ordinaria, una condizione che se si somma all’epidemia Covid19 per il cittadino diventa la tempesta perfetta, è indubbio che si registri un rallentamento della macchina” sottolinea Rubbo.

Detto questo lo stesso coordinatore regionale evidenzia come le cose nella fase di ripartenza debbano cambiare. “L’amministrazione regionale è di fatto ancora nella fase 1, ma c’è un motivo: essendo di supporto ai settori economici e sociali esterni si deve attivare in concomitanza a ciò che riparte”. E poi per chiarire fa due esempi: “Se le scuole sono chiuse è inutile, visto che il rischio contagio permane, che apro alle segreterie delle scuole in presenza. Mentre se riparte la cantieristica, attivo i lavori pubblici”.

Man mano che ripartiranno i settori si attiveranno anche gli uffici. “E qui sarà necessario bilanciare la salute con l’operatività”. Quindi l’obiettivo per Igor Rubbo è quello di gradualmente riportare i dipendenti a palazzo per alzare l’operatività dell’amministrazione. “Lo smart working così massiccio è disfunzionale, soprattutto per quei settori che hanno procedure correlate e coordinate tra più uffici”.

Non crede che sia sensato tornare indietro del tutto però Rubbo, anche per valorizzare gli aspetti positivi del lavoro a distanza: meno inquinamento, meno gente in giro, riduzione delle bollette e in prospettiva anche la possibilità di ottimizzare le postazioni e ridurre le locazioni a carico del bilancio pubblico. “In termini percentuale il 10% del contingente in smart working è sensato, il che equivale per fare una media grossolana a 2 giornate al mese di lavoro a casa, ma il tutto va assolutamente ragionato in funzione alle mansioni perché alcune si prestano più di altre”.

Altro capitolo problematico riguarda la presenza in servizio dei dirigenti. Su 100 dirigenti circa, più di 30 hanno svolto il loro lavoro prevalentemente da casa. Lo possono fare, sia chiaro, ma Rubbo non nasconde alcune perplessità. “I dirigenti apicali devono garantire la presenza, ma secondo me dovrebbero farlo tutti i dirigenti: è una contraddizione in termini, il dirigente è autoresponsabile della sua prestazione e responsabile per quella dei suoi subalterni”. E poi continua: “Come faccio a controllare costantemente il lavoratore se non sono nel mio ufficio, solitamente singolo, non ho accesso ai faldoni, non sono nelle condizioni di coordinare al meglio il lavoro di tutti?” E ancora “come faccio a chiedere ad un dipendente di rientrare se per primo non sono sul posto di lavoro?”.

Dubbi e interrogativi che si amplificano nella fase due quando i cittadini e le imprese in difficoltà avranno bisogno di avere al loro fianco una macchina amministrativa pronta e attiva, in grado di rispondere in tempi sensati alle loro istanze e contemporaneamente di recuperare, con rapidità, al lavoro che non si è potuto fare.

0 risposte

  1. Non sono un dirigente ma una semplice dipendente che, come gli altri, ha dovuto seguire quanto deciso dall’amministrazione regionale e cioè stare a casa. Finire le ferie residue, prendere permessi e fare la richiesta di lavoro agile ci sono stati impartiti, non scelti. Abbiamo firmato l’istanza che, tra le altre cose, ci chiedeva di dichiarare di “prenderci cura” degli strumenti forniti dalla Regione per poter lavorare.
    Quali? Chi non ce l’aveva si è comprato il PC, altri hanno dovuto, poiché imposto, attivare linee Adsl, le telefonate “lavorative” le abbiamo fatte con il nostro telefono e quindi a nostro carico (come la connessione), e a discapito della privacy di un numero personale.
    L’unico “strumento” che ci è stato fornito è il “collegamento da remoto” che peraltro l’abbiamo fatto noi stessi.
    Ora mi sembra che ci venga tutto rinfacciato!!
    Personalmente dico che ho sempre lavorato, le mie pratiche non si sono fermate, ho ricevuto le persone in ufficio su appuntamento, come previsto.
    C’è stata molta collaborazione con i colleghi con i quali ci siamo aiutati quando chi era presente in ufficio svolgeva alcuni compiti per gli altri a casa, e tutt’ora sta funzionando. Invito, chi lo volesse, a farsi dare i report dagli uffici del protocollo per poter valutare meglio la produttività o meno delle strutture. Ci saranno differenze, è vero, ma anche dovute al tipo di attività svolta, perché comunque, per chi ha poca voglia di lavorare o poco da fare non ha importanza se ciò succeda in ufficio o a casa.
    Concludendo, lancio una specie di appello, mi piacerebbe che fosse possibile prevedere di poter rinunciare al “bonus 100” per la presenza in ufficio, abbiamo solo fatto il nostro dovere e non mi sembra giusto questo ulteriore privilegio oltre a quello dello stipendio garantito.
    Tantissimi non ce l’hanno e sono in grave difficoltà e sarebbe bello destinare questo contributo tipo all’associazione banco alimentare o simile.

    1. vuoi rinunciare al tuo bonus di 100 €…..quando ti arrivano i soldi fai un bonifico all’associazione che ritieni piu opportuna senza tanti proclami o appelli…….

  2. Sono uno dei 30 dirigenti della Regione che in questo periodo ha lavorato in smartworking insieme alla sua squadra di dipendenti, la produttività in questo periodo di lavoro a distanza è aumentata del 30% e abbiamo garantito la sicurezza dei cittadini recandoci in sopralluogo con la nostra auto ed individualmente, lavorando anche il sabato e la domenica, se necessario. Abbiamo garantito la tracciabilità delle attività lavorative utilizzando apposite piattaforme software gratuite, che esistono da anni e concepite appositame per lo smartworking nel settore privato.
    Come prevede la legge molti miei collaboratori ed io abbiamo dovuto comperare a nostre spese le attrezzature per il lavoro da casa (io personalmente ho speso circa 500 euro). Lo smartworking non è quindi solo una “concessione” che si fa ai dipendenti, ma è un risparmio per l’amministrazione in termini di pulizia degli uffici, riscaldamento, bollette di energia e soprattutto, vista la necessità di prevenire il contagio, anche di ore non lavorate per malattia e costi umani difficilmente quantificabili. E questo sarà ancor più rilevante nella fase 2, nella quale tutti, avendo voglia di tornare alla nostra vita sociale e di contatti umani, dovremo essere ancora più cauti nei comportamenti sul posto di lavoro.
    Come me si sono comportati altri colleghi dirigenti con cui ho contatti quotidiani. Trovo quindi ingiusto e poco rispettoso nei confronti della nostra categoria, che si faccia il solito “di tutt’erba un fascio”. Lo trovo ingiusto anche per i molti dipendenti delle varie categorie che si sono messi in gioco imparando nuove modalità di lavoro per far fronte alla crisi, contribuendo anch’essi a infrangere il cliché del dipendente pubblico che affiora di nuovo, in maniera frustrante, dall’articolo.

  3. Trovo molto positivo che il direttore del personale si preoccupi del supporto che l’amministrazione regionale deve dare alla ripartenza delle attività economiche,
    ma è un po’ sconfortante la sua implicita ammissione che lo Smart working dei dipendenti regionali di fatto per la maggior parte dei casi ha significato non-lavoro.

    Credo che il problema è che i capi non sanno indirizzare e controllare il lavoro dei dipendenti per obiettivi verificabili (cosa che potrebbero fare anche da casa) mentre si devono limitare a vederli alla scrivania per avere la minima rassicurazione della loro operatività.

    Questa pandemia potrebbe essere l’occasione per una riflessione in seno all’amministrazione (a partire dal direttore del personale) di quali strumenti e competenze siano da sviluppare tra capi e dirigenti per imparare a dare obiettivi e a verificarli giorno per giorno.

    Chissà che così facendo non migliori anche la produttività del lavoro fatto in presenza negli uffici…..

    1. L’Amministrazione regionale è una fotogafia della società tanto più in Valle dove gli impiegati pubblici rappresentano una buona fetta della popolazione. Le generalizzazioni appiattiscono ogni ordine di valutazione specie se unite a luoghi comuni e preconcetti. La logica per cui il dipendente è un fannullone (tanto cara a quel cuor di leone di Brunetta) che è necessario guidare in tutte le sue azioni va a braccetto con la considerazione che chi opera nel settore privato è sicuramente un evasore costretto della pressione fiscale.
      Bisognerebbe dare più credito ai lavoratori di ogni genere dato che rappresentano la maggior parte di chi manda avanti la società. Le mele marce esistono nel pubblico e nel privato. Partendo da un’autoanalisi facciamo tutti in modo che non diventino la maggioranza della società.

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