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Legge elettorale: 33 consiglieri hanno detto NO al referendum consultivo: ecco perché sbagliano

Da molti anni è diventato evidente a tutti che il sistema valdostano per eleggere il Consiglio regionale non funziona e va modificato. Però 33 consiglieri regionali su 35 hanno nuovamente detto di NO ad un referendum popolare in materia.
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La decisione assunta dal Consiglio regionale l’11 gennaio 2023, con 33 consiglieri su 35 che hanno detto NO ad un referendum consultivo sul sistema elettorale regionale, è di estrema gravità.

Da molti anni è diventato evidente a tutti che il sistema valdostano per eleggere il Consiglio regionale non funziona e va modificato. La legislatura iniziata nel 2018 si è interrotta dopo appena due anni ed il Consiglio regionale è stato sciolto perché non riusciva ad eleggere un Presidente della Regione. Si è andati a votare nel settembre 2020, ma senza modificare il cuore della legge elettorale, ed ora è da due anni che siamo nuovamente in pieno marasma.

Tutti i partiti nei loro programmi elettorali scrivono che occorre cambiare invocando stabilità, ma poi non si fa nulla. Eppure la soluzione esiste, non c’è bisogno di inventare nulla, basta applicare il sistema in vigore in tutte le Regioni ed in tutti i Comuni italiani con l’elezione diretta del Presidente o del Sindaco insieme alla sua maggioranza.

Però 33 consiglieri regionali su 35 hanno nuovamente detto di NO ad un referendum popolare in materia. In passato hanno già bocciato la legge di iniziativa popolare (anch’essa firmata da 3300 elettori) ricorrendo alla Commissione dei cosiddetti “saggi”, che ha ribaltato le deliberazioni delle Commissioni precedenti entrando nel merito della legge che regola il procedimento anziché applicarla.

Ora i 33 consiglieri si sono espressi anche contro il referendum consultivo.

Secondo i Consiglieri di UV, Alliance Valdôtaine-VdAUnie, Stella Apina, PD e misti vari insieme a Lega, Pour l’Autonomie e Forza Italia gli elettori non devono essere consultati.

Hanno persino speso circa 10.000 euro del bilancio regionale per una consulenza giuridica che permettesse loro di trovare qualche pretesto per mettere il bavaglio agli elettori valdostani.

La democrazia partecipativa è prevista dallo Statuto e dalla Legge regionale, ma le forze politiche non ne vogliono sapere, vogliono avere le mani libere per fare e disfare alleanze e maggioranze anche in contrasto al volere degli elettori.

Adesso siamo al punto che “quelli del NO” vogliono arrivare anche a modificare, in senso limitativo, la Legge regionale n. 19/2003 che, in applicazione dello Statuto speciale, prevede la possibilità per i cittadini di chiedere referendum abrogativi e consultivi e di presentare leggi di iniziativa popolare da sottoporre ai cittadini.

Banchetto raccolta firme
Banchetto raccolta firme

 

Nel dibattito del Consiglio Regionale si sono sentiti i più vari e contraddittori argomenti contro il referendum consultivo. Argomentazioni pretestuose e affannose per poter motivare il NO. Diamo comunque puntuale risposta a quelle più frequenti e più utilizzate:

Il quesito non è chiaro

L’elaborazione del quesito, secondo la legge, non è compito del Comitato proponente ma del Consiglio regionale. Se avessimo proposto alla firma degli elettori una sintesi della legge 58, il referendum sarebbe stato dichiarato irricevibile dagli uffici competenti stessi. Gli stessi uffici che hanno proposto al Consiglio due formulazioni “tecniche” compatibili. Il Comitato è sempre stato disponibile a collaborare per trovare una soluzione per permettere la consultazione su pochi e chiari quesiti. I Consiglieri NO.

Il referendum impone una scelta al Consiglio, lega le mani ai consiglieri

Il referendum consultivo non impone niente alla sovranità e all’esercizio delle prerogative istituzionali del Consiglio stesso. La richiesta era di un referendum “consultivo” – e la lingua italiana non è un optional -: imponeva ai consiglieri solo di tener conto dell’orientamento espresso dai cittadini.

Il referendum NON impone una scelta al Consiglio e quindi è inutile

Per motivi opposti alla argomentazione del punto precedente, qualcuno ha detto che votava contro perché un referendum consultivo non avrebbe prodotto automaticamente una legge elettorale nuova e quindi era una operazione costosa, ma alla fine senza incisività. Infatti l’incisività era, ed è, responsabilità del Consiglio. L’indicazione dei cittadini sarebbe stata importante per comprendere cosa pensano e cosa vogliono i valdostani.

I firmatari non erano informati e sufficientemente competenti

Di tutte le affermazioni demagogiche sentite nel dibattito dell’11 gennaio questa è quella che più si avvicina all’insulto. Fa specie (a noi) averla sentita dalla bocca del rappresentante del PD. 3300 cittadini, secondo lui, non sarebbero stati “capaci” di discernere liberamente su una cosa come una legge elettorale che li investe direttamente e personalmente come cittadini e cittadine. Solo gli eletti sono competenti o possono avere una opinione? Che idea della Democrazia è mai questa?

La legge elettorale è “cosa nostra”, una competenza esclusiva di noi consiglieri:

Molti si sono avventurati nel dire che la legge elettorale è “cosa loro”. Che le iniziative di democrazia diretta sono da contrastare perché l’unica investitura che conta è quella che è stata conferita ai consiglieri in carica con le elezioni. Un’idea ottocentesca, anacronistica e retriva che non riesce a vedere i limiti del sistema della Democrazia rappresentativa fine a se stessa e che in Valle d’Aosta ci ha portato a questi dieci anni di stallo. Democrazia rappresentativa e Democrazia diretta sono complementari e si arricchiscono vicendevolmente perché concretizzano un sistema più vicino ai cittadini e alla realtà che vivono.

Siamo contro l’elezione diretta quindi votiamo contro il referendum

Il referendum consultivo serve a chi è a favore, come a chi è contrario, perché permette ad entrambi, paritariamente, di spiegare agli elettori le proprie ragioni. Poteva essere su qualsiasi altra materia e attiene ad un diritto dei cittadini sancito dalla Costituzione, dallo Statuto e dalla Legge.

È una operazione elettorale di RC per captare del facile consenso

Quando nel merito non si hanno argomenti si cerca di delegittimare il soggetto che propone. Chiunque ha seguito la discussione su questo tema sa che questa è una battaglia politica che RC persegue dalla sua nascita e che ha caratterizzato da tempo i suoi aderenti. Qualche passo è stato fatto nella scorsa legislatura, anche con la nostra pressione, con l’introduzione della preferenza unica, lo spoglio centralizzato (che prima era stato usato solo in via sperimentale), la possibilità di voto elettronico, il limite dei tre mandati. Forse è proprio quest’ultima prescrizione che non va giù ai professionisti del trasformismo.

I Comitati, le forze sociali, le organizzazioni dei cittadini e gli stessi “partiti e movimenti” non allineati sono “populismo antidemocratico”. Zitti e fermi

Anche l’idea che dalla società civile e dalle sue espressioni extra-istituzionali ci si debba difendere è un’idea antimoderna, conservatrice, autoritaria. La società, per come si è evoluta, ha riconosciuto da tempo il valore e la soggettività anche politica delle sue espressioni organizzate. Considerato che l’astensione è diventata maggioranza assoluta e i partiti sono sempre più arroccati, prendere atto che l’impegno politico è ancora una libera scelta garantita della Costituzione sarebbe un passo avanti. Anche un po’ di autocritica non guasterebbe. Se i cittadini non capiscono, è una ragione in più per impegnarsi e dare loro spazi di partecipazione più veri.

Chi la pensa diversamente rappresenta, davvero, il vecchio sistema che tenta disperatamente di non cambiare.

C’È UNA DIFFUSA INDIGNAZIONE POPOLARE CONTRO GLI UOMINI E I PARTITI DEL NO. OCCORRE PERTANTO UNIRE LE ENERGIE E LE FORZE PER CAMBIARE QUESTA SITUAZIONE, PER FAR SI’ CHE CI SIA DEMOCRAZIA E BUON GOVERNO IN VALLE D’AOSTA.

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