Covid, l’Usl corre ai ripari: si reclutano specializzandi, laureati in medicina e pensionati
L’ospedale regionale si sta saturando, ed i numeri dell’emergenza continuano a salire. L’Azienda Usl corre ai ripari perché oltre agli spazi – problema annoso – a mancare è il personale sanitario.
Le “Disposizioni aziendali relative alla gestione dell’attuale pandemia da Covid-19” comunicate dal Commissario Usl Angelo Pescarmona vanno in questa direzione.
Emergenza chiama emergenza, e l’atto dà la possibilità – si legge nel documento – ad attuare “misure straordinarie atte a tutelare tale interesse collettivo”. Nel dettaglio, in ambito sanitario, “è stato attivato un modello di cooperazione con il coinvolgimento delle strutture pubbliche e private accreditate e con redistribuzione del personale sanitario, adottando inoltre un modello di continuità ospedale-territorio, attraverso le Unità speciali di continuità assistenziale per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 senza necessità di ricovero ospedaliero”.
Medici e specializzandi per la carenza di personale. E gli infermieri del concorso?
Tra gli “strumenti di natura eccezionale concepiti dal legislatore al fine di dare temporanea soluzione all’annosa carenza di personale sanitario” che “nell’attuale periodo emergenziale, è emersa in tutta la sua drammaticità” la Legge 27/2020 autorizza l’Azienda “a reclutare specializzandi dell’ultimo e penultimo anno di specializzazione conferendo loro incarichi di lavoro autonomo”, ma “anche ai laureati in medicina e chirurgia, abilitati all’esercizio della professione medica e iscritti agli ordini professionali” così come “una volta verificata l’impossibilità di assumere personale attraverso le graduatorie concorsuali”, “a conferire incarichi di lavoro autonomo, con durata non superiore a sei mesi, a dirigenti medici, veterinari e sanitari nonché al personale del ruolo sanitario del comparto sanità, collocati in quiescenza”.
“Precettano tutti a piacimento, per far fare loro ciò che vogliono – attacca Chiara Pasqualotto, Cisl -. Mi chiedo se prima di arrivare a questo punto non si potesse organizzarsi in maniera diversa, chiedendo agli infermieri, al personale tecnico e alle Oss se fossero disponibili ad altro. Ad esempio stanno imponendo a chi fa part time di fare il tempo pieno. Certo, c’è l’emergenza, ed è comprensibile ma mi chiedo se non ci si potesse organizzare diversamente”.
Sul banco degli imputati dei sindacati – già all’epoca – il recente concorso per l’assunzione degli infermieri, superato da 66 candidati per 83 posti: “Non hanno neanche iniziato a chiamare chi l’ha superato – aggiunge Pasqualotto -. Alcuni infermieri valdostani sono andati a lavorare altrove, sono tornati per partecipare al concorso e non sono stati ancora contattati”.
La questione degli orari
Le disposizioni dell’Azienda trovano fondamento nella legge 27 del 24 aprile 2020 che, all’articolo 5 sexies “autorizza le Aziende sanitarie a convogliare tutte le risorse disponibili verso le attività di gestione dell’emergenza, esonerando evidentemente da tale impegno solo i professionisti dedicati alle attività di ricovero e ambulatoriali urgenti ed indifferibili e non operando distinzioni di sorta rispetto a specializzazioni, profili professionali, incarichi”.
Nello stesso articolo si legge che “Agli esercenti le professioni sanitarie, impegnati a far fronte alla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, non si applicano le disposizioni sui limiti massimi di orario di lavoro prescritti dai contratti collettivi nazionali di lavoro di settore, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata, secondo modalità individuate mediante accordo quadro nazionale, sentite le rappresentanze sindacali unitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative”.
Punto sul quale i sindacati stessi sono critici: “Noi non siamo stati sentiti – commenta ancora Pasqualotto -, e quindi non abbiamo dato il nostro parere. Nessuno vuole mettere in croce l’Azienda e l’assistenza ai pazienti, ma anche chi lavora è una persona. Non si può pensare che si possano lavorare 12 o 13 ore, hanno bisogno di riposo, che non si può dare solo smontanti notte”.
“Soprattutto – spiega invece Natale Dodaro, Uil -, avevamo una convocazione in programma la scorsa settimana per l’organizzazione della ‘fase tre’ saltata perché il Commissario aveva un incontro con l’Assessore. Ora invece abbiamo una nuova convocazione per il 5 novembre, ma per discutere solo dell’indennizzo Covid ai sanitari. È una mancanza di confronto continuo e per gli orari agiremo. Non c’è nessuna contrattazione con le organizzazioni sindacali, abbiamo chiesto un incontro urgente con l’Assessore alla Sanità”.
I chirurghi chiedono tutele
Più sfumata, invece, la posizione di Riccardo Brachet Contul, Segretario regionale del Sindacato medico Anaao Assomed, che non nasconde però la preoccupazione: “La situazione si sta aggravando – spiega -, e continuiamo ad aprire reparti Covid. Il precetto dell’Azienda dovrebbe valere per tutti laureati in Valle d’Aosta, perché a breve l’ospedale non basterà più. Se si continuano ad aprire questi reparti rischiamo che la struttura diventi di fatto un ospedale Covid. Il Presidente della Regione e la Protezione civile dovranno decidere, presumo ci stiano già riflettendo. Siamo preoccupati, agitati, ma non bisogna seminare il panico e operare con senso di responsabilità”.
Sul concorso degli infermieri, invece, Brachet tronca di netto: “No comment. Anzi, quello che è successo è incommentabile”.
Il medico fuga anche i dubbi sulla voce che vede i chirurghi di altre specialità contrari a lavorare nei reparti Covid. Ma chiede tutele e assicurazioni decise: “Non mi risulta. Siamo medici, se vediamo che c’è una polmonite chiediamo il consulto dello Pneulmologo e continuiamo a operare. Il Covid però non è la complicanza di un intervento, se siamo obbligati ad andare nel reparto Covid vogliamo essere tutelati. Non è vero che i chirurghi non vogliano andare, ma vogliono farlo con le tutele giuste. Ci siamo impegnati già a marzo, aprile e maggio e qualche denuncia da parte dei parenti dei medici sta arrivando. E vogliamo anche un atto formale di precettazione per fare qualcosa che non è nelle nostre competenze”.