Madri si nasce, padri si diventa
Ok. Il titolo era una provocazione. O meglio, una parziale provocazione. Certo ci sono madri a cui vorresti far fare il test del Dna, perché ti pare impossibile che abbiano generato una vita: sono poco empatiche, iper-centrate sui loro bisogni, preoccupate solo del successo dei figli e non del loro benessere, incapaci di rinunciare al loro tempo per dedicarne ai figli. E' vero, ci sono. Ma sono una rarità, diciamocelo. Generalmente l’esperienza della maternità è talmente forte e trasformativa, che i meccanismi di cura, attenzione, decentramento e ascolto scattano in automatico; il legame si crea ben prima che il figlio nasca, è quel legame ombelicale che poi spesso rende difficile, da più grandi, il distacco. Diciamocelo, noi mamme partiamo avvantaggiate. Che poi a volte si perdano per strada i pezzi di quella relazione, è un altro discorso. Ma, sui blocchi di partenza, noi abbiamo metri di vantaggio e di facilitazioni.
E i padri? I padri, alla nascita di un figlio, devono invece imparare un alfabeto tutto nuovo, che la natura non mette a disposizione biologicamente. Devono entrare in una relazione nella quale all’inizio si sentono quasi degli intrusi, come stranieri in una terra di cui devono imparare a conoscere la geografia. Ecco perché padri si diventa, giorno dopo giorno con gesti intenzionali. Come ha ben detto la psicoanalista francese Françoise Dolto, la paternità è sempre un legame simbolicamente adottivo e non biologico.
In questo, se ci pensiamo, i genitori adottivi partono invece allineati ai blocchi di partenza; entrambi devono imparare un codice nuovo, devono entrare in un’esperienza ignota ad entrambi. Anzi, sono addirittura le madri che, talvolta, devono conquistarsi quell’agognato ruolo, perché spesso un bimbo adottato riversa la sua rabbia proprio verso la mamma, che nella sua storia è simbolo dell’abbandono. E poi nel percorso che porta all’adozione c’è stato un lungo e complesso lavoro sulle scelte e le motivazioni, quindi c’è più consapevolezza da parte di entrambi.
Eccole lì, due parole chiave per parlare oggi di paternità: scelta e consapevolezza. Un padre sceglie di essere presente nella relazione con i figli, sceglie ogni giorno di non essere solo “l’aiutante della madre”, il guardiano del faro, quello da chiamare in causa per ripristinare l’ordine mancante. Oggi molti padri sono molto affettivi e sono consapevoli dell’importanza di quella relazione, ci vogliono stare, ma spesso non sanno come starci. Come dice bene Maurizio Quilici, fondatore dell’Istituto di Studi sulla paternità, “stiamo vivendo una rivoluzione senza metafore, che comprende comportamenti, atteggiamenti e rappresentazioni che non si sono mai verificati prima nella storia che ci ha preceduti”. “Il modello di paternità che conoscevamo è in crisi”, fa notare anche la sociologa Anna Laura Zanatta in Nuove madri e nuovi padri, “e non ne è emerso ancora uno nuovo che lo possa sostituire”. Che i padri oggi siano più disorientati delle madri, è evidente. Che spesso fatichino ad entrare in una profonda genitorialità condivisa, va detto, è spesso responsabilità anche delle loro compagne, queste madri Wonder-woman che spesso non riescono a fare un passo indietro, a delegare, a fidarsi.
Insomma, è chiaro, dobbiamo tracciare nuove strade; qualcuno già lo sta facendo. Vi condivido allora come vedo io i Nuovi Padri, non sia mai che possa aiutare chi ancora sta cercando la via.
1) I Nuovi Padri sanno essere affettuosi. Sanno che si può giocare con un figlio e coccolarlo, senza per questo perdere in autorevolezza. Sanno emozionarsi e possono piangere, legittimando il gesto ai figli maschi e evitando le derisioni alle figlie femmine. I Nuovi Padri sanno parlare delle loro emozioni, o almeno ci provano. Almeno sanno che è importante.
2) I Nuovi Padri sanno però essere anche normativi. Sanno che le regole danno sicurezza. Non delegano sempre alle madri, con la scusa che ci sono poco. Sanno reggere alla fatica di dare e dire dei no, i famosi “no che aiutano a crescere”. E sanno reggere alla rabbia del figlio. Perché sanno che ai figli bisogna donare amore, ma anche resilienza.
3) I Nuovi Padri sono solidi, ma non rigidi. Non cercano l’approvazione dei figli, perché sanno che non è questo il tempo. Ma non pensano che i loro figli, quando diventano ragazzi, abbiano solo ‘grilli per la testa’, perché guardano ai loro figli con curiosità e stupore. E li valorizzano. E li aiutano a coltivare i loro talenti.
4) I Nuovi Padri costruiscono la loro forza sapendo che nella vita si può anche essere deboli. Deboli, badate bene, non fragili. Sanno che non c’è una risposta a tutto, e che a volte i dubbi vanno ascoltati. Non coltivano il pensiero unico, ma una genitorialità condivisa con la loro compagna. Sono alleati nella coppia. E rimangono padri, anche se la coppia si spezza.
5) I Nuovi Padri, soprattutto, sanno ascoltare. Ascoltare non per legittimare le richieste più assurde dei figli, non per concedere sempre ai figli tutto ciò che chiedono. Quella è la strada più facile per costruire l’illusione della paternità. E per rendere un figlio fragile. I Nuovi Padri ascoltano e chiedono “come stai” ad un figlio, perché sanno che solo ascoltando profondamente il mondo dell’altro, ed imparando a decentrarsi, potranno essere degli uomini migliori. Dei Padri migliori.