Un libro celebra la poesia delle sculture di Giulio Vuillermoz
01 Marzo 2010
Giulio Vuillermoz, scultore di Valtournenche, ancora oggi, come dal 1948 quando aveva 14 anni, espone alla Fiera di Sant’Orso. Sul suo banco in via Sant’Anselmo, sotto il Palazzo de la Pierre ci sono le sculture in acero bianco che lo hanno reso noto al pubblico nei decenni passati. Nella sua bottega di Valtournenche, silenzioso e appartato, lavora ancora con il piccolo seghetto che gli regalò il padre. In passato il nome di questo scultore si poteva leggere in tutte le pubblicazioni dove era protagonista l’artigianato. Con il passare del tempo però quel nome, complice la riservatezza e modestia dello stesso scultore, è andato scomparendo.
La pubblicazione “Giulio Vuillermoz, memoria e poesia nell’arte pastorale valdostana”, edizioni La Selva, presentato venerdì scorso presso il Museo dell’artigianato tipico di tradizione a Fénis, “è prima di tutto un omaggio a questo scultore e allo stesso tempo un modo per evitare che uomini riservati e modesti, grandi scultori interpreti della cultura locale, rischino per questa loro umiltà di non lasciare più traccia della loro opera artistica”. Parole di Vincenzo Bixio, che insieme a Gabriella De Munari Bixio, e al figlio Federico, hanno voluto fortemente questa opera, tanto da finanziarla poiché la qualità della stessa non aveva trovato una casa editrice disposta a sostenere i costi. Così la famiglia padovana Bixio, che con la Valle ha un legame affettivo e famigliare, si è rimboccata le maniche seguendo la propria passione per l’artigianato diventando a tutti gli effetti mecenate.
La pubblicazione nelle sue 250 pagine raccoglie la produzione di circa cento opere di Vuillermoz, alcune delle quali presenti al MAV, fotografate con maestria e passione da Federico Bixio. Gli scatti, il gioco di luci e ombre, i contrasti del bianco acero su sfondo nero, mettono a fuoco l’anima di queste sculture, evidenziando il forte legame dell'artista con la dimensione religiosa e la finezza dei dettagli delle sue opere. Le fotografie sono divise in quattro gruppi che racchiudono i soggetti da sempre preferiti da Vuillermoz: santi, uomini, animali e oggetti.
Accanto alle suggestive foto trovano spazio i testi di Teresa Charles, autrice di numerosi scritti in materia e di Nurye Donatoni, conservatore-responsabile del MAV. Sono stati coinvolti anche i familiari dell'artigiano e in particolare Don Samuele Vuillermoz, fratello dell'artista, e i nipoti Don Giulio e Franco Vuillermoz che hanno saputo trasferire nel volume le emozioni di tanti anni di comunità di vita con il famigliare artigiano. Il volume sembra chiudersi in modo malinconico, con l’immagine di Giulio Vuillermoz che entra in un bosco volgendo le spalle a chi guarda, quasi fosse un addio. In realtà la malinconia lascia spazio alla speranza racchiusa nella frase di Piergiorgio Thiebat, che chiude le pagine dell’opera.