Cosa deve insegnare la scuola? Le riflessioni e i consigli di inizio anno di Licia Coppo
Ieri ho incontrato delle insegnanti di prima elementare, in una scuola in cui gestirò in progetto “Scuola in regola”, per lavorare sull’alleanza e la corresponsabilità educativa scuola-famiglia. Entrando in aula mi sono commossa: niente banchi in fila, ma disposti a gruppi di 4 o 6, per fare “apprendimento cooperativo”. La cattedra in un angolo, non frontale ai banchi. Tanto spazio al centro per muoversi, sperimentare. Quando poi ho sentito che, per trasferire il valore della condivisione, chiedono di far mettere in comune il materiale, sono passata dalla commozione all’essere positivamente esterrefatta; non mi capitava da un po’, ammetto. E pensate quanto tempo e quanto stress risparmiato ai genitori che non devono più etichettare tutti i pennarelli e le matite col nome! Un lavoro che, per chi lo ha fatto, fa venire l’esaurimento nervoso! Eppure queste maestre fanno così: giusto la penna e qualche matita personale, ma il resto viene messo in comune. Che poi, se ci pensate, all’infanzia i bambini hanno tutto in comune. Giochi, pennarelli, spazi. Giusto grembiulino e bavaglio sono personali.
Ma perché ci siamo incaponiti, dalle elementari in poi, con quest’ossessione del materiale individuale? Addirittura in alcune scuole i bambini che prestano il pennarello al compagno smemorato vengono rimproverati. Il compagno ‘dimenticone’ viene messo alla gogna. Ci sono tribunali delle mamme che processano la mamma del bambino ‘dimenticone’ perché non ha ancora restituito la colla ad un altro bambino, quello precisino che ha sempre zaino e astuccio più ordinati di un’esposizione Ikea. Forse quest’ossessione del ‘proprio materiale’ non rischia di rinforzare un tantino quell’individualismo di cui la nostra società è tanto malata? Quindi ben vengano queste scelte ‘rivoluzionarie’, perché trasmettono valori importanti. Se il materiale viene condiviso, inoltre evitiamo il rischio che arrivi Ludovica in classe sfoderando un astuccio a 6 ante, con dentro glitter e penne con brillantini da 5 euro l’una, colori Karandash che non usano neanche all’Istituto d’arte, un compasso astronomico che normalmente chiedono al primo anno di architettura, malauguratamente seduta accanto ad Antonio, che invece ha un modesto astuccio un po’ consunto riciclato dal fratello, dei pennarelli comprati al supermercato (che dopo un mese già non scrivono più) e delle matite che la sera prima ha temperato con orgoglio per farle sembrare nuove. Certo che Antonio accanto a Ludovica si sentirà un po’ in imbarazzo. Ci sarà tempo, perché si formino le classi sociali. Sarà inevitabile. Magari però alle elementari lasciamoli essere bambini. E insegniamo loro a fare gruppo, a partire dalla cura di spazi, ambienti e, perché no, dal materiale condiviso.
La scuola deve insegnare la collaborazione, non solo come valore ma come capacità di lavoro. Collaborazione, lavoro di gruppo e problem solving sono le skills più richieste nel mondo del lavoro di oggi. Inoltre con l’approccio dell’apprendimento cooperativo si crea in automatico maggiore integrazione tra gli alunni. E si promuove davvero l’inclusione scolastica, che oggi ministri ed esperti la citano sempre come un mantra; ma pochi la sanno fare davvero. Invece, ahimè, l’impostazione della nostra scuola italiana è ancora troppo spesso centrata sulla verifica individuale (non copiare e non far copiare gli altri!), sull’essere meglio degli altri, sul confronto tra i voti, sul valutarsi solo in base a un numero. Per fortuna ci sono esempi virtuosi, docenti che stanno sperimentando la scuola senza i voti, le innovative scuole senza zaino e le classi capovolte, e quest’anno parte anche una sperimentazione in 166 scuole italiane di un progetto approvato dal Miur che prevede “una scuola senza compiti”. Ehh lo so, cari genitori che state leggendo….vi è scesa una lacrimuccia.
In questo anno scolastico appena iniziato, vorrei che davvero tanti insegnanti si proponessero di insegnare e non solo di istruire, provando, anche se lo so che è dura e c’è tanta burocrazia, a non farsi fagocitare dall’ossessione del programma. I vicoli di un programma ministeriale da rispettare non esistono più da anni! Ci sono le Indicazioni Nazionali del Miur, e dentro ci si può muovere con una certa flessibilità. L’obiettivo è far raggiungere delle competenze, non finire il programma (che poi non esiste!); forse sono le nostre teste che andrebbero de-programmate, per aiutarci a vedere bambini e ragazzi come persone in crescita. Che dobbiamo aiutare a pensare, a far sviluppare spirito critico, ad imparare. Vorrei che nelle scuole si parlasse anche di femminicidio, di terrorismo, di cyberbullsimo. Non si può tenere la scuola slegata dalla vita reale! Oggi meno che mai, perché c’è Internet e i bambini e i ragazzi vedono, sentono, parlano. Aiutiamoli a trovare le parole giuste.
E il monito non va solo agli insegnanti. Noi genitori a casa dobbiamo fare la nostra parte. E’ facile fare i criticoni, ma ci siete mai entrati voi in una classe, magari una seconda media, a gestire un’attività? Io si, con i miei laboratori, e vi garantisco che a volte bambini e ragazzi sono delle iene! Se magari, noi genitori a casa, ricominciamo a valorizzare il lavoro degli insegnanti, ad interessarci di ciò che i nostri figli hanno capito e imparato (e non dei voti che hanno preso), ad incuriosirci della loro vita scolastica, ad ascoltarli, a non difenderli quando la Scuola li ha sanzionati…ecco, faremmo loro un gran bene! E se a Natale della prima elementare vostro figlio è solo al primo quaderno, siate contenti per lui. Preoccupatevi piuttosto della figlia dei vostri amici che in un’altra scuola è già al 4 quadernone finito di matematica, e suo fratello in seconda elementare sa già le tabelline fino al 20. Ecco, loro non stanno facendo scuola, ma una “maratona didattica”, che non serve a nulla.
Quindi, cari genitori, state sereni, non stressate i vostri figli, ma responsabilizzateli perché studino e si organizzino da soli. E soprattutto lasciate che a scuola ci vadano loro!