Anna, la sua battaglia vinta contro il cancro e l’impegno per Viola

09 Giugno 2020

Anna Dal Canton ha 47 anni, è una maestra di asilo ad Aosta, appassionata del suo lavoro. Ha un marito al suo fianco, insieme hanno una figlia di 21 anni. Insomma, una vita appagante e sostanzialmente tranquilla.

Fino al giorno in cui riceve una telefonata. La telefonata che cambia la vita, uno spartiacque che delimita un prima e un dopo. E’ il giugno del 2005, all’altro capo del filo c’è un medico che la invita, per il giorno successivo, a recarsi in ospedale: nella mammografia di screening che Anna ha fatto nei giorni scorsi c’è qualcosa che non va, bisogna fare degli accertamenti. “Quella notte è stato il momento peggiore, non riuscivo a dormire, ho perso la mia stabilità e ho pensato che la mia vita stesse cambiando” racconta Anna.

Il responso arriva poco dopo con l’ecografia e l’ago aspirato e si tratta di quello più duro, che fa più paura: carcinoma. “Ricordo il personale accogliente, le infermiere che mi hanno fatto sedere e mi hanno offerto l’acqua, però io una volta fuori di lì sono come entrata in una bolla, isolata dal mondo”. La reazione di spaesamento e timore colpisce anche la sua famiglia: “mio marito l’ho visto spaventato, mia figlia anche lei impaurita si è come allontanata da me, si vede che fa male vedere all’improvviso una mamma che si ammala e deve essere curata”.

Anna torna indietro con gli anni – ora ne ha 62 – e ripesca i ricordi nel passato. “Se ci ripenso poco prima avevo notato una piccola variazione sul mio seno, come se il capezzolo si fosse ritratto, però non mi sono allarmata più di quel tanto, di lì a poco avrei fatto la mammografia, mi sentivo tranquilla”.

E’ fine giugno, Anna si sottopone ad un piccolo intervento sui linfonodi per capire se il tumore è circoscritto. “Nei giorni successivi c’è un sentimento pesante di attesa, io però in quel momento devo essere sincera non avevo capito fino in fondo l’importanza di questo esame”. Per fortuna per Anna l’esito è positivo, i linfonodi sono liberi. Seguono una serie di esami e di controlli e a metà luglio Anna viene ricoverata al Beauregard e operata. “Sono stata preparata dalla psicologa, l’intervento di per sé è andato bene, non è stato particolarmente doloroso anche se comunque invasivo”.

“Non avevo paura di morire, dentro di me però ho scoperto un sentimento nuovo, di attesa, affrontavo questa malattia giorno per giorno, senza grandi progetti”. Anna è una persona loquace, che ama parlare e che ha sentito da subito la necessità di raccontare e confidarsi con il marito prima, con le amiche poi.  Inizia ad informarsi leggendo qualche libro, documentandosi sul percorso che avrebbe dovuto affrontare. “I momenti di paura e di tristezza ci sono, mi sono scoperta più nervosa del solito, avevo la mente annebbiata e facevo fatica a prendere le decisioni, ma parlare con le persone, così come camminare, mi hanno comunque aiutata tanto”.

A settembre inizia la trafila comune a tante donne: quaranta sedute di radioterapia che allora veniva fatta a Ivrea. “Mi accompagnavano, un po’ mio marito, un po’ le mie colleghe, non sono neanche riuscita a far venire tutte le persone che volevano portarmi”. Nonostante la fatica e la stanchezza, dopo Natale Anna rientra a scuola animata dalla voglia di riprendere una vita normale.

Tra i sostegni che hanno aiutato fortemente il suo percorso di guarigione Anna ricorda in particolare i colloqui con la psicologa del Beauregard e i gruppi di sostegno dell’Associazione Viola. “In quelle situazioni scarichi una vita, tiri fuori tutto quello che hai dentro e devo dire che mi ha fatto bene, io ero la classica persona che voleva avere tutto sotto controllo: la malattia ti insegna che questo non è possibile”. Invitata dalla fondatrice di Viola Nadia Berard, Anna inizia a frequentare anche i gruppi di sostegno organizzati da Viola. “E’ un percorso molto utile, che mi sento di consigliare, è fatto in piccoli gruppi di donne che stanno vivendo la tua stessa esperienza, dove vengono fuori cose molto intime e profonde della tua vita nel pieno rispetto della privacy”.

Ora Anna è una violetta, ovvero è una volontaria dell’Associazione che va a trovare in ospedale le donne appena operate. Il suo è stato un avvicinamento graduale all’impegno attivo, fatto a piccoli passi, senza forzature. “Inizialmente frequentavo Viola da utente, aderendo alle tante iniziative proposte come la ginnastica”. “Di tanto in tanto Tiziana Frassy, il mio anello di congiunzione con Viola, mi chiamava invitandomi a frequentare la sede. Ho quindi iniziato a dare una mano, facendo un po’ di pulizie, ma poi mi sono anche allontanata anche perché presa dal mio lavoro”.

Alcuni anni fa Anna decide di frequentare il corso per volontarie di Viola e successivamente di impegnarsi anche nel servizio di accoglienza in sede che con l’arrivo della pensione, nel giugno 2018, diventa un impegno fisso. “Siamo sempre in due e accogliamo le donne per l’ascolto, la condivisione, per il prestito delle parrucche, così come l’iscrizione ai corsi di Tai Chi, di ginnastica così come ai servizi di fisioterapia, pet therapy e tutte le attività che Viola organizzava per favorire l’attività fisica e la socializzazione delle donne operate”.

Usa il passato Anna per descrivere il suo impegno in Viola, l’arrivo della pandemia e il rischio del contagio da Covid-19 hanno di fatto costretto a stoppare buona parte delle iniziative.“E’ rimasto durante tutto il periodo un servizio di supporto psicologico al telefono portato avanti da Gabriella Frassy e Valentina Piaggio di cui ho anche usufruito”. “Nella mia attività di volontaria ho imparato banalmente a toccare la testa di una donna, non è così semplice mettere una parrucca ad una donna, ma soprattutto a mettermi in gioco”. 

Ora il percorso di Anna, seppur per il momento interrotto, è a disposizione delle donne che stanno affrontando la loro battaglia con il tumore. “Le donne sono molto forti, è difficile trovarne una disperata, la malattia è quasi più faticosa per chi sta vicino perché tu come donna combatti, devi affrontare, c’è una forza interiore che ti dice che ce la devi fare per tuo figlio piccolo, per tua madre anziana che deve essere accudita”. E poi conclude: “Io dico loro che, per quanto difficile, è fondamentale farsi aiutare da persone esterne e preparate capaci di offrirti un supporto emotivo che in quel momento la famiglia non ti può dare”.

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