Coronavirus, l’analisi dei dati valdostani
La situazione in Valle d’Aosta, da oggi e per pochi giorni in zona gialla, è favorevole. L’Rt continua a diminuire, anche se a velocità ridotta rispetto alle settimane precedenti, un po’ com’era successo a maggio-giugno scorsi. Il grafico è aggiornato al 16 dicembre, data dell’ultima pubblicazione ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il confronto che vi propongo oggi, con i dati aggiornati a ieri 19 dicembre e senza dimenticare i valori di riferimento dell’Italia nel suo complesso, è con il Veneto, la regione che più preoccupa per il suo attuale andamento in controtendenza.
Come si vede dalle curve in giallo le preoccupazioni per il Veneto sono assolutamente giustificate: tutti i principali parametri sono in aumento da almeno un mese, senza alcun accenno a diminuire.
Al contrario in Valle d’Aosta i casi totali sono al di sotto della media nazionale (pur se in lieve aumento rispetto alla settimana scorsa), i ricoveri ordinari si stanno avvicinando alla media italiana mentre quelli in terapia intensiva l’hanno già raggiunta. Anche i decessi settimanali stanno diminuendo regolarmente, anche se siamo sempre il fanalino di coda dell’Italia.
Possiamo dunque tirare un sospiro di sollievo? Sì, ma molto breve, e soprattutto non dobbiamo abbassare la guardia. Ci aspettano le vacanze natalizie con un probabile incremento dei flussi turistici (seconde case) e degli spostamenti intraregionali, al di là delle norme da zona rossa o arancione; poi ci sono l’influenza stagionale alle porte e la prossima campagna vaccinale che è meglio ci trovi al minimo livello pandemico possibile. E’ inutile fare previsioni: se tutto andrà bene torneremo lentamente ad un Rt vicino allo zero, come durante la scorsa estate, altrimenti dopo un paio di settimane dai nostri incauti comportamenti le curve che ormai abbiamo imparato a conoscere risaliranno.
In chiusura vi accenno ad alcuni dei problemi legati allo screening, che ho quasi interamente ripreso da un post pubblicato qualche giorno fa su Facebook da un gruppo denominato Pillole di ottimismo che vi invito a visitare.
Che cosa ci dice un test antigenico fatto in un giorno a caso in un soggetto asintomatico? Con l’approccio più pessimistico possibile ci dice che la persona potrebbe essere positiva e non più contagiosa; che la persona risultata positiva potrebbe essere contagiosa già da alcuni giorni e quindi avere già avuto contatti a rischio con gli altri; e infine che la persona risultata negativa potrebbe trovarsi nelle prime fasi dell’infezione, e quindi dopo pochi giorni diventare contagiosa. Quindi ricapitolando il test antigenico dà a volte risultati falsi celando persone che in realtà sono infette, evidenzia a volte soggetti che hanno finito la fase di contagiosità e non ti dice da quando sei contagioso. Ma allora il test è da buttare? No, assolutamente no, quelle sopra sono le ipotesi più estreme: ma non va usato per la pesca miracolosa e a caso di soggetti infetti. Nella Medicina falsi positivi e falsi negativi sono caratteristiche ineliminabili di qualunque test, e ne condizionano la sensibilità e la specificità. Dunque, da parte dei decisori bisogna conoscerli e farne buon uso. E soprattutto da parte dei soggetti testati, in caso di negatività non devono essere utilizzati per abbandonare quelle che sono le regole universali di questa terribile pandemia: mascherine, igiene delle mani e distanziamento sociale.
C’è un altro punto chiave da capire negli screening di massa, cioè che vanno fatti concentrati nel tempo. Ma immagino siate già un po’ provati da quanto vi ho appena raccontato, per cui ve ne parlerò in una prossima occasione…
Buon Natale a tutte e tutti.