Cnr, c’è la casa che resiste a 7,2 Ritcher.
A convalidare il progetto italiano, spiega il Cnr, "sono stati i laboratori dell'Istituto nazionale di ricerca sulla prevenzione disastri (Nied) di Miki, in Giappone, dove, alla fine del 2007, la casa di legno di sette piani e 24 metri di altezza realizzata dall'Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche (Ivalsa-Cnr) di San Michele all'Adige (Trento) ha resistito con successo al test antisismico considerato il piu' distruttivo per le opere civili: la simulazione del terremoto di Kobe di magnitudo 7,2 sulla scala Richter''.
"Mai prima al mondo – afferma il Cnr – una struttura interamente di legno e di tali dimensioni aveva resistito a una simile forza d'urto. Il test e' il risultato finale di studi e ricerche durate cinque anni che hanno individuato, nella combinazione di materiali e connessioni meccaniche del prodotto 'Sofie', la tecnica costruttiva ideale contro i terremoti".
"Si tratta – spiega ancora il Cnr – di un sistema, detto anche X-Lam, Cross Laminated Timber, ideato una decina d'anni fa in Germania ma sviluppato e perfezionato in Italia, che si basa sull'utilizzo di pannelli lamellari di legno massiccio di spessore variabile dai 5 ai 30 centimetri incollati a strati incrociati". La ricerca condotta da Ivalsa-Cnr, grazie a un progetto di ricerca finanziato dalla Provincia autonoma di Trento, "ha dimostrato in modo definitivo -afferma il magggior Ente pubblico di ricerca italiano- l'assoluta affidabilita' e sicurezza, oltre al valore aggiunto in termini di comfort abitativo, risparmio energetico e rispetto per l'ambiente, del legno come materiale per l'edilizia".
"Il legno -prosegue il Cnr- e' infatti una valida alternativa ai metodi costruttivi tradizionali, in acciaio o muratura, e soprattutto un'alternativa economica, visto che, a parita' di costi, le prestazioni e i rendimenti sono migliori". "Il test effettuato al Nied di Miki sulla casa a sette piani -conclude il Cnr- segue un'analoga prova condotta dall'Ivalsa-Cnr nel luglio 2006, sempre in Giappone, su una casa di tre piani, e una simulazione di incendio nella quale l'abitazione e' riuscita a conservare intatte le sue proprieta' meccaniche e inalterata la propria struttura portante dopo oltre un'ora di fuoco".
Attualmente, il primo esempio di rigorosa applicazione della tecnologia Sofie a un edificio pubblico e' in fase di realizzazione a Trento, con un collegio universitario di 5 piani che ospitera', in piena sicurezza, circa 130 studenti.
Sulla tragedia in Abruzzo è intervenuto Fabio Oblach, architetto triestino di 55 anni con studio a Spilimbergo, in provincia di Pordenone, che fu impegnato per una decina d'anni nella ricostruzione del Friuli dopo il sisma del 1976. Secondo Oblach, i sindaci delegati ad erogare i finanziamenti, la popolazione coinvolta nella ricostruzione e la conservazione della memoria storica sono stati i tre elementi che hanno fatto del dopo terremoto del Friuli un modello per tutta Italia.
"Il successo della ricostruzione in Friuli -spiega Oblach- e' stato determinato dallo stabilire che gli amministratori locali, i sindaci, fossero i funzionari delegati per l'erogazione dei contributi. Sono stati cosi' evitati con passaggi nei finanziamenti che in altre esperienze hanno visto i soldi disperdersi in mille rivoli. E' stato questo -aggiunge il professionista- uno degli elementi fondamentali del successo dell'operazione, perche' si e' applicato una sorta di federalismo, con il cittadino in grado di controllare quanto accadeva nel suo territorio".
"Poi -ripercorre l'architetto- c'e' stato una specie di governo di unita' nazionale a livello regionale, per cui tutte le forze politiche lavorarono insieme con l'obiettivo di dare una casa presto ai terremotati e nel contempo per assicurare l'occupazione, e quindi ricostruire le attivita' produttive del territorio".
Oblach, che fu molto attivo nella ricostruzione di Castelnovo del Friuli (Pordenone), ricorda che in quel caso si tratto' del ''primo intervento pubblico di ricostruzione fatto in Friuli Venezia Giulia con delega dei beneficiari del contributo. Il contributo -spiega l'architetto- era determinato in base al nucleo famigliare e, anche per risparmiare, piu' beneficiari si univano e delegavano l'ente locale all'appalto di interventi unitari per piu' alloggi. La gara d'appalto la faceva poi l'ente locale''.
Oblach ritiene molto importante, nella ricostruzione del Friuli, il coinvolgimento della popolazione locale: ''Fondamentale -afferma- fu l'immediata creazione di gruppi di persone che cominciarono a ragionare sulla riedificazione anche attraverso assemblee, alle quali partecipavano i tecnici''. Di rilevante importante fu infine, assicura Oblach la ''conservazione della memoria''. ''Se le case furono costruite in un determinato posto c'e' una ragione e quella storia va preservata, conservata'', sostiene Oblach, che non concorda su un'eventuale spostamento dei terremotati dell'Abruzzo nelle cosiddette new town. Infine, l'architetto che partecipo' anche alla ricostruzione di Camerino dopo il terremoto delle Marche del 1997 ricorda ''la grande solidarieta' nazionale che nel dopo Friuli non fece mancare le risorse''.
Un altro professionista che fu impegnato nella ricostruzione del Friuli, Alfonso Degan Bianchet, con studio a Gemona (Udine), concorda pienamente con il collega Oblach, suo coetaneo, e mette in guardia sulle ''new town'': ''Gli esempi di Londra e Parigi -afferma- tutte esperienze risalenti agli anni Settanta, hanno visto che 'new town' diventare di fatto, soprattutto in Francia, delle banlieue''.
''Mantenere la memoria dei luoghi e della gente e preservare il patrimonio storico e architettonico in modo serio'', e' indicato da Degan Bianchet come l'unico modo vincente di ricostruire. Il terremoto dell'Abruzzo, suggerisce l'architetto, deve essere preso ''come un'occasione per ricostruire in maniera antisismica l'intero centro storico de L'Aquila''.