Mafia, una ‘Spa’ con un fatturato di 130 miliardi

11 Novembre 2008

Roma, 11 nov. (Adnkronos/Ign) – Con un fatturato di 130 miliardi di euro e un utile che sfiora i 70 miliardi la mafia 'spa' minaccia l'economia del Paese, indebolita dal difficile momento che sta vivendo. I dati sono contenuti nel rapporto di Sos Impresa 'Le mani della criminalità sulle imprese', che analizza il peso crescente della cosiddetta mafia imprenditrice, ormai presente in ogni comparto economico e finanziario del sistema Paese.

Il settore maggiormente in crescita è quello dell'usura. Questo reato segnala un aumento degli imprenditori colpiti, della media del capitale prestato e degli interessi restituiti, dei tassi di interesse applicati, facendo lievitare il numero dei commercianti colpiti ad oltre 180.000, con un giro d'affari che oscilla intorno ai 15 miliardi di euro. In Campania, Lazio e Sicilia si concentra un terzo dei commercianti coinvolti.

Alle aziende vanno aggiunti gli altri piccoli imprenditori, artigiani in primo luogo, ma anche dipendenti pubblici, operai, pensionati, facendo giungere ad oltre 600.000 le persone invischiate in patti usurari, a cui vanno aggiunte non meno di 15000 persone immigrate impantanate tra attività parabancarie ed usura vera e propria.

Di altro segno il racket delle estorsioni, dove rimane sostanzialmente invariato il numero dei commercianti taglieggiati con una lieve contrazione dovuta al calo degli esercizi commerciali e all'aumento di quelli di proprietà mafiosa. Cala il contrabbando, in parte sostituito da altri traffici. Mentre cresce il peso economico della contraffazione, del gioco clandestino e delle scommesse.

"L'attività imprenditoriale delle mafie ha prodotto un'organizzazione interna tipicamente aziendale con tanto di manager, dirigenti, addetti e consulenti", sottolinea il Rapporto. "La gestione delle estorsioni, dell'usura, dell'imposizione di merce, dello spaccio di stupefacenti – si legge nel Rapporto -, necessita di un organico in pianta stabile, che ogni giorno curi la riscossione del 'pizzo', allarghi la 'clientela', diversifichi le 'opportunità', conosca e tenga 'a bada' la concorrenza, salvaguardi regolare la sicurezza dell'organizzazione dai componenti 'infedeli' o dal controllo delle forze dell'ordine, gestisca e reinvesta il patrimonio".

"Per questo gli affiliati sono inseriti con mansioni ben precise, percependo un stipendio: la 'mesata', che varia in base all'inquadramento, al livello di responsabilità ed alla floridità economica del clan di appartenenza. Quindi, è del tutto naturale che clan diversi riconoscano 'mesate' diverse per lo stesso lavoro svolto, a cominciare dagli stessi capi", afferma ancora il Rapporto che quantifica le 'mesate' in base ai ruoli, con una 'forbice' che va dai 10 mila-40 mila euro del capo clan, di fatto un amministratore delegato, fino ai 1.000 euro del gradino più basso della scala gerarchica, quello rappresentato dagli spacciatori minorenni.

Un caso a parte quello di chi compie attentati od omicidi: per loro la 'forbice' è molto ampia, dai 2.500 ai 25mila euro, evidentemente in funzione dei crimini concretamente compiuti.

"Il gruppo di comando si comporta come un qualsiasi Consiglio di Amministrazione. Il capo cosca funge da Amministratore delegato e deve rendere conto periodicamente ai 'soci' dell'andamento economico e finanziario dell'azienda-clan, e discutere con essi le strategie 'aziendali', condividere le operazioni e gli investimenti più rilevanti, nonché – conclude il Rapporto – risolvere le questioni interne all'azienda-clan, che potrebbero minarne la compattezza e la solidità.

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