Musica, pensieri e il lungo abbraccio di amici e colleghi per l’ultimo saluto a Denis Trento
Le montagne dell’alta valle erano l’habitat naturale della guida e pluricampione di scialpinismo Denis Trento. Là, in particolare sul massiccio del Monte Bianco, aveva firmato imprese alpinistiche di rilievo. Là, venerdì scorso, i suoi occhi si sono chiusi per sempre dinanzi a quel panorama, mentre saliva il monte Paramont, sopra La Salle, dove il 41enne in servizio al Centro Sportivo Esercito di Courmayeur viveva con la moglie Fabienne e i figli Sévérine, Grégory e Gilbert.
Nel pomeriggio di oggi, lunedì 6 maggio, a cercarle con lo sguardo dal sagrato della chiesa di San Cassiano, che ha ospitato l’ultimo saluto all’alpinista, quelle vette erano imperscrutabili. Coperte da una coltre di nuvole basse, dalle quali scendeva una pioggia torrenziale. Più di uno dei numerosissimi presenti lo ha letto come una sorta di pudore del creato, a seguito dell’ondata di sconforto in cui la morte di Trento ha sprofondato la comunità della Valdigne e non solo.
Se l’epigrafe del 41enne parlava della sua “ultima traccia verso il cielo”, è stato il parroco Paolo Viganò (affiancato dal cappellano militare e da molti altri sacerdoti) a spiegare che quei binari sono “il segno del bene che continua a vivere nel mondo grazie a te, Denis”. Tutt’attorno, gli stendardi delle società delle guide valdostane, presenti in gruppo con le loro divise tecniche e di fustagno, ma anche i commilitoni che lo avevano conosciuto prima da atleta e poi da istruttore e coordinatore della sezione alta montagna del Centro di Courmayeur.
Tutti hanno dato vita a un “addio” all’amico e collega non consueto, in cui pure la musica è stata protagonista. Il coro ha interpretato “Signore delle cime” e “Montagne Valdôtaines”, ma nella chiesa sono risuonate anche le note di “In un giorno di pioggia” dei Modena City Ramblers, canzone che – ha spiegato il sacerdote – era già stata suonata anni fa, in occasione del funerale del fratello di Denis, Valerio, anch’egli scomparso prematuramente. Una ballata in cui la band canta che “in un giorno di pioggia ti rivedrò ancora / E potrò consolare i tuoi occhi bagnati. / In un giorno di pioggia saremo vicini”.
E’ stata poi Sévérine, figlia di Trento, a dedicare alcune parole al suo papà, lette in chiesa dalla zia: “Sei così forte e coraggioso che ti hanno voluto anche lassù, dove sei adesso. Hai fatto quello che ti piaceva fino all’ultimo minuto della tua vita. E ovunque sei so che avrai scalato tutte le montagne che ci sono. Senza paura. Come sempre. Ci manchi già, – ha esclamato con la voce rotta dall’emozione – ma tanto sei qua con noi e lo sarai per sempre”. Un pensiero salutato dal fragoroso applauso dei presenti.
Per testimoniare la vicinanza dell’Esercito, a La Salle oggi è salito il comandante delle truppe alpine, il generale Ignazio Gamba. Stringendosi ai cari dello scialpinista, li ha esortati a vedere nei suoi tre figli l’ideale continuazione di tutto ciò che Trento ha fatto di buono. E, come ha ricordato il comandante del centro sportivo, il tenente colonnello Patrick Farcoz – dopo averne ripercorso il palmarès fatto di vittorie ai campionati mondiali ed europei, ma anche in classiche come la Pierramenta e la Patrouille des glaciers – parliamo di una “persona che si è guadagnata il mio rispetto e quello dell’Esercito”.
Trento, ha aggiunto l’ufficiale, era animato da “passione e attaccamento sincero al lavoro”. Certo, “aveva un carattere anche introverso”, da persona “abituata a fare più che a parlare”, ma presentava pure un tratto “ironico e autoironico, determinato e testardo”, ma soprattutto “sempre coerente” nelle scelte. Per questo, ha detto Farcoz, “ha lasciato innumerevoli tracce sulle montagne, ma quella nell’Esercito”, dove “ha contribuito a costruire una squadra di altissimo livello”, è “indelebile”.
Ad accompagnare il feretro fuori dalla chiesa, dopo un lungo abbraccio della comunità ai familiari di Trento, i militari del Centro sportivo, assieme a Marco Camandona. L’alpinista di fama internazionale era legato da un profondo rapporto di amicizia a Trento. Era stato lui, ad inizio anni 2000, a convincerlo a passare allo scialpinismo, dopo l’esordio in carriera sugli sci stretti. Un rapporto costruito sulla consapevolezza dei limiti, sulla determinazione e sulla necessità di migliorare continuamente con l’allenamento. In una parola, sulla stima. Quella che era palpabile oggi tra tutti coloro che lo conoscevano.