Elezioni americane 2024: scenari horror sul grande schermo
LA NOTTE DEL GIUDIZIO – ELECTION YEAR di James de Monaco (USA, 2016), disponibile su Netflix
Siamo al terzo dei cinque capitoli che compongono la saga horror di produzione americana The Purge, distribuita in Italia come La notte del giudizio, nata dalla penna di James de Monaco, sceneggiatore dell’intero franchise e regista dei primi tre film: La notte del giudizio (2013), Anarchia – La notte del giudizio (2014) e La notte del giudizio – Election Year (2016).
L’inquietante premessa è la stessa che accomuna tutte le pellicole: ci troviamo in USA, in un presente distopico dove l’ennesima crisi economica ha portato il Paese sull’orlo della guerra civile. In questo contesto assumono il potere i Nuovi Padri Fondatori, un gruppo di conservatori fanatici la cui dissennata ricetta per evitare il caos consiste nell’istituire la notte dello sfogo, ovvero dodici ore all’anno in cui ogni crimine è permesso, compreso l’omicidio, nel dichiarato intento di rimuovere letteralmente le mele marce dalla società americana.
La novità di Election Year, ambientato in un sempre più prossimo 2037, è che stavolta lo sfogo coinvolgerà anche i “funzionari governativi di livello 10”, ovvero l’intera classe politica. La revoca dell’immunità ai membri del governo è un tentativo dei Nuovi Padri Fondatori di approfittare della purga per eliminare la nuova candidata alla presidenza Charlie Roan (Elizabeth Mitchell), in corsa per abolire una volta per tutte la notte degli orrori, a causa della quale ha perso tutta la sua famiglia. A farle da bodyguard, troviamo il protagonista del secondo film Leo Barnes (Frank Grillo), che dovrà vedersela con la lucida follia dei Nuovi Padri Fondatori in persona.
Se dopo gli ultimi due film della saga – La prima notte del giudizio (Gerard McMurray, 2018) e La notte del giudizio per sempre (Everardo Gout, 2021) foste ancora assetati, potete andare a caccia delle due stagioni della serie televisiva The Purg su Prime Video.
LA ZONA MORTA di David Cronenberg (USA, 1983), disponibile su Infinity
La zona morta di David Cronenberg, adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King, è un film che parte da una domanda semplice: cosa faresti se potessi vedere il futuro?
Johnny Smith, un uomo comune interpretato da Christopher Walken, dopo essere uscito da un lungo coma, scopre di avere il potere di vedere ciò che accadrà toccando le persone. L’uomo, inizialmente confuso e smarrito, si trova di fronte a visioni che lo mettono di fronte a scelte sempre più difficili, soprattutto quando incontra Greg Stillson (Martin Sheen), un politico senza scrupoli, destinato a diventare presidente. Il futuro di Stillson cela infatti qualcosa di terribile: un’escalation di eventi che potrebbe portare alla distruzione del pianeta.
La politica, in La zona morta è una forza invisibile ma costante. Stillson rappresenta il tipo di politico che spaventa davvero: quello che, sotto una patina di populismo, nasconde ambizioni pericolose. E Johnny, con la sua visione del disastro che Stillson causerà, si trova a dover prendere una decisione impossibile. Agire e fermare il futuro presidente significa compiere un atto terribile. Non agire, invece, condannerebbe il mondo a una catastrofe.
Cronenberg, con il suo stile freddo e chirurgico, non dice cosa è giusto fare, ma lascia lo spettatore con un nodo in gola. Johnny è un eroe o un uomo disperato che cerca di sfuggire a un destino che non ha mai chiesto di vedere? La zona morta, oltre ad essere un thriller paranormale, è una riflessione sul peso delle scelte e sulle conseguenze che queste possono avere, non solo per noi stessi, ma per l’intera società.
Su Rai Play potete trovare altri due film di David Cronenberg in cui politica e società assumono un ruolo centrale: Cosmopolis, riflessione distopica sul capitalismo e la crisi esistenziale dell’individuo, e Crimes of the Future, l’ultimo film del regista, ambientato un futuro in cui l’evoluzione umana si intreccia con l’arte e il controllo sociale.
ESSI VIVONO di John Carpenter (USA, 1988), disponibile in DVD presso la Biblioteca Regionale di Aosta
Cosa fareste se vi trovaste tra le mani un paio di occhiali che svelano cosa si cela dietro l’apparente normalità della vita quotidiana? Se scopriste che i cartelloni che pubblicizzano nuovi computer o vacanze ai tropici nascondono in realtà imperativi subliminali come “obbedite”, “riproducetevi”, “comprate”? E se poi il vostro vicino di casa si rivelasse un alieno dall’aspetto simile ad Eddie The Head, la terrificante mascotte degli Iron Maiden?È questa la situazione in cui si ritrova il protagonista John Nada (Roddy Piper), disoccupato in cerca di lavoro nella Los Angeles di fine anni 80. Accanto alla baraccopoli dove ha trovato un rifugio ha sede una chiesa dove c’è un misterioso via vai di persone anche nelle ore più tarde della notte. Dopo una violenta retata della polizia che distrugge la chiesa e il campo, John scopre che il reverendo e i suoi compari stanno costruendo degli occhiali da sole molto speciali, che permettono di vedere il mondo per ciò che è: una Terra dominata da alieni antropomorfi che stanno usando gli esseri umani come cavie per prosperare.
La pellicola è tratta dal breve racconto del 1963 Alle otto del mattino di Ray Nelson, scrittore di fantascienza, nonché fiero inventore del cappellino con l’elica (diventato ben presto sinonimo di nerd nel mondo del cinema). Alla regia il maestro dell’horror John Carpenter, autore di titoli capisaldi del genere come Halloween, la notte delle streghe (1978), The Fog (1980) o La cosa (1982). Una storia che all’epoca fu accolta con poco entusiasmo, ma che nel tempo è diventato un vero e proprio cult. I temi su cui ci invita a riflettere diventano paradossalmente sempre più attuali col passare del tempo: il mito del benessere come strumento di distrazione di massa, il lato oscuro del capitalismo che predica il progresso mentre distrugge il Pianeta, un’affascinante teoria del complotto: tutti temi che potrebbero tranquillamente proliferare sulle nostre bacheche social e magari in qualche temerario programma politico.
AMERICAN HORROR STORY: CULT, di Ryan Murphy e Brad Falchuk (USA, 2017), disponibile su Disney+
Il rapido montaggio della sigla va dritto al punto: Trump È l’orrore, una grottesca maschera uscita dalle rapine di Point Break, e la sua vittoria alle elezioni è la manifestazione concreta dell’incubo americano per i liberali e tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani. La vittoria dei Repubblicani dell’8 Novembre 2016 è uno shock emotivo di portata traumatica nel nucleo familiare arcobaleno di Ally (Sarah Paulson), sua moglie e il loro figlio. Nello stesso istante, in un’altro salotto di fronte alla TV, c’è chi festeggia l’elezione di Trump: è il paranoico Kai (Evan Peters), capo di una setta di psicopatici travestiti da clown. Perché qui la paura più profonda non è rappresentata da fantasmi, streghe o scherzi della natura, ma dai cappellini con lo slogan “make America great again”.
La settima stagione della acclamata serie antologica è probabilmente la migliore, assieme ad Asylum e Freak Show. Sicuramente è quella che, più di ogni altra, dichiara apertamente di voler scavare a fondo nell’oscurità degli Stati Uniti: ne sonda le contraddizioni politiche, la violenza più brutale e gratuita (trigger warning: lo show di Murphy non è consigliato agli stomaci deboli), le derive estreme di ogni posizione politica. Ma soprattutto, ragiona sui media del paese come poche altre serie hanno osato fare nello scorso decennio. Gli schermi televisivi (e non solo) sono veicolo di morte e registrano a loro volta la morte al lavoro, l’horror-show autentico che avviene fuori dalla cornice televisiva. Gli autori si divertono così a ri-scrivere la storia, cercano di colmare le sue lacune irrisolte riempiendole con continui what if, riferimenti al cinema, alla cronaca nera, alle vicende storico-politiche e alle stagioni precedenti, in un pastiche che rispecchia attentamente l’inquietante presente e irrompe nelle case degli americani con urgenza dopo soltanto un anno dalle elezioni in questione. Il risultato non è l’immagine “realistica” dell’America, ma è la messa in scena della sua reale paranoia, che fa i conti con il sangue di cui si sono sempre nutrite le radici del Paese.
SCAPPA – GET OUT di Jordan Peele (USA, 2017), disponibile su Netflix
Chris (Daniel Kaluuya), un giovane fotografo afroamericano, si mette in viaggio con la fidanzata Rose – caucasica – per conoscere la famiglia di lei e trascorrere insieme il weekend. La famiglia Armitage vive in una sontuosa villa immersa nel verde e tutti sembrano ben disposti nei confronti di Chris. Ben presto, però, in un climax sempre crescente, si fa spazio un senso di inquietudine e disagio. Perché i domestici della famiglia – neri – sembrano comportarsi in modo strano con Chris, che invece cerca di costruire un dialogo con loro? E perché, soprattutto, le persone invitate presso la villa degli Armitage sembrano così tanto interessate alla sua forma fisica e alle sue qualità? Lo spazio in cui è immersa la villa non risulta più un luogo tranquillo e accogliente, ma uno spazio lontano e isolato da cui è difficile allontanarsi.
La canzone di Michael Abels Sikiliza kwa wahenga che ci accompagna sin dai titoli di testa sembra rappresentare tanto una sorta di monito per il protagonista del film, quanto un’anticipazione di quanto avverrà. Le sonorità dissonanti, le frasi pronunciate – Fratello, ascolta gli antenati, scappa via lontano –, il modo in cui alcune parole vengono sussurrate, la forma circolare della costruzione musicale concorrono a far sprofondare lentamente lo spettatore in un progressivo incubo, sia sul piano narrativo che su quello visivo e sonoro. E sarà proprio la sensazione di “sprofondare in un incubo” anticipata dalla musica a trovare il suo corrispettivo visivo e narrativo nel mondo sommerso (sunken place) che prende forma durante l’incontro tra la madre di Rose, una ipnoterapista, e Chris. Jordan Peele, al suo primo lungometraggio da regista, non prende la strada più scontata e facile per parlare di razzismo, ma sceglie invece come obiettivo la borghesia colta e liberale. Che differenza c’è, in fondo, tra il poliziotto che all’inizio del film chiede i documenti a Chris solo in quanto afroamericano e il padre di Rose, che ama vantarsi affermando che avrebbe votato Obama per un terzo mandato se avesse potuto? Se vi è piaciuto, vi consigliamo anche Us, secondo lungometraggio del regista, e La notte dei morti viventi di George A. Romero, entrambi disponibili su Prime Video.
ABRAHAM LINCOLN VS ZOMBIES, di Richard Schenkman (USA, 2012), disponibile su YouTube
Gli amanti del genere trash possono sedersi tranquilli sui loro divani per un’ora e mezza di delirante rivisitazione storica in salsa zombie, perché la distribuzione di questo film è targata The Asylum, una garanzia nel mondo dei B-movies, con all’attivo capolavori (si fa per dire) come Mega Shark Vs Giant Octopus (2009), Titanic II (2010) o Sharknado (2013).
Anche in questo caso il titolo del film è tutto un programma. Già nei primi minuti vediamo un piccolo Lincoln munito di falce costretto a uccidere sua madre, affetta da un misterioso morbo che ha trasformato il suo villaggio in un ammasso di morti viventi. Anni più tardi, nel bel mezzo della guerra civile americana, lo ritroviamo cresciuto nei panni dell’iconico presidente degli Stati Uniti a capo dell’Unione, impersonato da un fin troppo credibile Bill Oberst Jr. In breve tempo, grazie a una sceneggiatura dozzinale e piena di forzature, Abraham Lincoln in persona deciderà di mettersi a capo di una missione suicida per conquistare Fort Pulaski, dove l’antico morbo che ha segnato la madre sembra aver ripreso piede. L’unico modo per evitare il diffondersi di un’epidemia sarà quello di uccidere tutti gli infetti, mirando alla loro testa con ogni arma a disposizione.
Il resto è storia, come si suol dire, questa volta però con la “s” minuscola in quanto tutto, dalla scrittura alla colonna sonora, dalla fotografia alla recitazione è rigorosamente piatto e approssimativo, come da manuale del perfetto B-movie. Se il genere non vi appassiona sappiate che questo film è in effetti un mockbuster dell’action horror Abraham Lincoln: Vampire Hunter (USA, 2012), diretto dal russo Timur Bekmambetov e prodotto fra gli altri nientemeno che da Tim Burton. Un altro stile, un budget molto più alto e la distribuzione 20th Century Fox escludono questo secondo film, a dispetto del titolo grottesco, dalla categoria trash. A voi la scelta su quale improbabile rivisitazione del presidente Lincoln preferire.