Mezza giornata con Sierra-Alfa 1, a scuola di Soccorso Alpino
“Il grosso degli incidenti accade su passaggi facili. Dove è difficile abbiamo paura tutti”. Paolo Comune, gressonaro direttore del Soccorso Alpino Valdostano, è ai piedi della falesia di Vollein (Quart). Mentre spiega il programma dell’esercitazione periodica in programma per oggi, mercoledì 3 luglio, le sue mani disegnano traiettorie nell’aria, strette ai capi di una corda, che annoda e snoda per mostrare errori e problemi frequenti di chi va in montagna.
Al suo fianco c’è Lucio Trucco, guida del Cervino e soccorritore che di interventi ne ha testimoniati. “Il livello tecnico di arrampicata è migliorato, – esordisce – ma il problema è culturale. Valentino Rossi può permettersi delle cose con una moto da 200 cavalli, ma chi ha la patente normale no. C’è chi vede lui e pensa di riuscirci, ma il messaggio che deve passare è che non puoi”.
Parole che, declinate in ambito montano, vanno lette come: “C’è chi ha visto Killian (Jornet Burgada, ndr.) salire e in tre ore [sulla “Gran Becca”] e pensa di farcela con cinque. Non è così”. Peraltro, proprio il tempo è il fattore cruciale: “Devi capire se puoi continuare, o tornare indietro. Fa la differenza”. Alle spalle dei due, operatori, tecnici e istruttori, suddivisi in tre squadre, si preparano a simulare il recupero in parete di feriti.
Non mancano, ovviamente, i medici: ce n’è uno in ogni equipaggio di elisoccorso (in Valle è richiesto che siano specializzati anestesisti-rianimatori) e, siccome la simbiosi con l’equipaggio deve essere totale, assieme si preparano per le manovre. Nel mentre, il decano della “sanità alata”, Alessandro Bosco, ribadisce che il problema è anzitutto di consapevolezza.
“Sapete quanti diabetici andiamo a prendere? – chiede provocatoriamente ai giornalisti – Quota e sforzo cambiano la dose abituale di insulina e non ce ne si rende conto. Non va limitata la pratica della montagna, né a loro, né ai cardiopatici, ma devono essere coscienti”. “State pronti, affidatevi a un professionista, che sa riconoscere sintomi e problemi”, è l’appello di questo granitico chirurgo, da trentacinque anni sugli elicotteri.
Quest’anno, dall’osservatorio privilegiato del Sav, “ci sono stati molti più incidenti a inizio stagione, perché non c’era neve”, afferma Comune. Nel mentre, il fragore della turbina dell’Aw-139 annuncia l’arrivo di Sierra-Alfa 1, indicativo radio del principale aeromobile usato dall’elisoccorso (che sta per Soccorso Alpino 1). Rapido come una libellula ed elegante come una farfalla, si posa sul promontorio di fronte alla falesia e scatta il briefing tecnico tra i partecipanti e l’equipaggio.
A bordo lavorano, in uno o due turni al giorno (a seconda del periodo e delle ore di luminosità), due guide, il medico, uno specialista-meccanico e il pilota. Alla cloche oggi c’è Walter Surini, dall’accento bergamasco che mette allegria, ma spiega cose serissime. “L’elicottero fa più fatica a star fermo che a salire – dice – non è come una macchina in cui si frena e basta”. Per questo, la manovra in cui si verricella a bordo qualcuno è complessa, richiede una sincronia perfetta.
Il velivolo arriva fino ad un metro dalla roccia e a quel punto, esclama il comandante, mentre il pilota compensa costantemente con i comandi l’azione del vento per tenere stabile il mezzo, chi è in parete ha “una frazione di secondo per agganciarsi a noi e sganciare i moschettoni dalla montagna”. Se qualcosa va storto, l’elicottero rischia di ritrovarsi “legato” alla parete e impossibilitato a muoversi. Pertanto, “o si stacca la persona, o ci stacchiamo noi”.
“Come?” è l’ingenuo interrogativo del cronista. La risposta non ammette appello: “con una carica esplosiva di cui è dotato il verricello”. Fortunatamente, i problemi non sono all’ordine del giorno e, nella stagione più intensa, recuperi del genere vengono compiuti anche tre volte a settimana. Poco dopo, Sierra-Alfa 1 si alza e giornalisti e osservatori vedono con i loro occhi il significato di quelle spiegazioni.
Dopo essere stati issati nel minuscolo abitacolo, i figuranti feriti vengono depositati nell’area di atterraggio, spazzata dal vento generato dalle pale. Meno di un’ora e tutte le persone in parete sono completamente evacuate. Elena Boris è il medico in servizio oggi. Alla domanda perché un dottore scelga “l’ambulanza dei cieli” (alla base del “Gex” si avvicendano, in tutto, una decina di sanitari) offre la risposta più sincera: “Certo, la passione, ma anche il gruppo. La forza dell’essere un’équipe è nelle cose brutte, anche perché non vuoi portarti a casa il lavoro, ma si condividono pure la convivialità e la vita in base”.
Giusto il tempo di finire l’esercitazione e la Centrale Unica del Soccorso dirotta l’elicottero sulla Val Veny, dove un alpinista è bloccato e va riportato a valle. Questa volta si tratta di un evento reale, non preparato a tavolino, ma per l’equipaggio non farà nessuna differenza. Ogni volta che le ruote si staccano da terra, nulla è lasciato all’improvvisazione. D’altronde, “dov’è difficile abbiamo paura tutti”.