Soldi allo psichiatra Bonetti per i certificati, due assoluzioni in Appello
Rovesciando la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Aosta, la Corte d’Appello di Torino ha assolto oggi, martedì 12 novembre, con la formula “perché il fatto non sussiste”, due ex agenti di Polizia penitenziaria residenti in Valle dalle accuse di concorso in falsità ideologica e corruzione. La vicenda era legata alle indagini sull’attività dello psichiatra Marco Bonetti, di cui i due uomini, un 51enne e un 54enne, erano pazienti. La tesi degli inquirenti era che avessero ottenuto dal medico, dietro il versamento di somme di denaro, dei certificati con diagnosi “addomesticate” poi usati per assentarsi dal servizio.
Gli imputati erano difesi dall’avvocato Laura Marozzo, che dopo la lettura della sentenza odierna si è detta “molto soddisfatta di questo processo. Finalmente è emersa la verità e sono molto contenta per i miei clienti”. Nella discussione di stamane, il rappresentante della Procura generale aveva chiesto – per ognuno dei due – la conferma del verdetto emesso l’11 gennaio 2018 dal Tribunale di Aosta, vale a dire due anni e dieci mesi di reclusione a testa. Tesi cui i giudici non hanno aderito, propendendo per l’assoluzione.
Secondo la Procura di Aosta (le indagini erano state svolte dalla Guardia di finanza, anche attraverso telecamere nascoste nello studio del professionista), tra il novembre e il dicembre del 2016 gli imputati si erano fatti rilasciare, consegnando ognuno 50 euro al dottore, rispettivamente una falsa attestazione di “ricaduta nello stato depressivo” (grazie alla quale era scattato il riconoscimento di 45 giorni di malattia, in aggiunta ai “già ottenuti precedenti 165”) e di “un disturbo depressivo ansioso progressivo”, accompagnato dalla richiesta di “uno stato di malattia per tre mesi”.
Nel processo dinanzi al Tribunale collegiale del capoluogo regionale, l’avvocato Marozzo si era detta “spaventata dalla ricostruzione” inquirente, perché “non emerge in nessuna trascrizione che i due abbiano chiesto al medico di fare il certificato”. Aveva poi insistito sui trascorsi clinici degli assistiti, nei quali “checché ne dica la Procura” già figuravano “diagnosi di depressione”. Infine, sulla corruzione, il giudizio del legale era stato lapidario: “corrompere il pubblico ufficiale non può avvenire al prezzo della prestazione medica”.