Il Rifugio Ospizio Sottile torna a nuova vita grazie ad un giovane lodigiano
Non è “burocraticamente” in Valle d’Aosta, “ma già la cucina è nella vostra regione”. Il Rifugio Ospizio Sottile sorge a 2480 metri di altitudine sul confine tra Piemonte e Valle d’Aosta. La sede è a Riva Valdobbia, in provincia di Vercelli, ma da Gressoney-Saint-Jean è raggiungibile facilmente in un paio d’ore e, da quest’anno, può contare su una nuova gestione, quella di Simone Polenghi.
Il giovane della provincia di Lodi, con l’entusiasmo dei suoi 23 anni, vuole far rinascere e riaprire questo luogo storico costruito nell’800 come rifugio dei migranti e proseguire secondo questa filosofia di apertura ed accoglienza. “La mia passione per la montagna nasce diversi anni fa, già da piccolo coi nonni andavamo spesso in vacanza in quota”, racconta. “Con gli anni questa passione è cresciuta, insieme a quella per sport come l’arrampicata, lo snowboard ed il trekking”.
Lui, studente di chimica industriale, ha anche la passione per la cucina ed è riuscito a conciliare queste sue vocazioni prima lavorando in alta Val Seriana e in Valchiavenna, e poi realizzando il suo sogno di gestire il Rifugio Ospizio Sottile: “Quando è uscito questo bando mi ci sono buttato. L’ufficialità è arrivata a fine febbraio, appena prima che chiudesse tutto per il coronavirus. La prima volta che sono riuscito a raggiungere il rifugio è stato a metà aprile, ora sono su fisso da qualche settimana ed ho aperto ieri, lunedì 15 giugno”.
Un periodo sicuramente non facile per iniziare questa nuova avventura ma, dopo le paure iniziali e le difficoltà logistiche, burocratiche ed organizzative, Simone è ottimista: “Ho dovuto fare parecchi su e giù, c’erano e ci sono ancora un po’ di lavori da fare, considerato che il rifugio l’estate scorsa era chiuso e che in più ci sono tutte le nuove misure di sicurezza da prendere. Ma ho visto nella gente tanta voglia di riscoprire la natura e l’aria aperta”.
Insieme alla sua fidanzata Chiara, Simone ha deciso di portare questa naturalezza anche nella propria gestione: cordialità e convivialità nell’accoglienza, e prodotti naturali e genuini in cucina. “Il pane e la polenta li cuocio sulla stufa, la pasta è fatta in casa, i vini sono naturali e la birra artigianale. Purtroppo l’obbligo di dover usare accessori monouso è penalizzante, ma ci siamo adoperati affinché fosse tutto il più sostenibile possibile”.
La sua storia è una storia di speranza e coraggio: “Non ci sono intemperie o altro che mi possano spaventare o fermare. Credo che le notizie positive possano aiutarci a sorridere e incontrarci, a farci riprendere la nostra vita. Spero di cuore che molti come me non si scoraggino e continuino a perseguire i propri sogni e obiettivi”.