L’Associazione Genitori separati scrive all’Assessore Fosson
Gentile assessore,
conoscendo la sua professionalità, mi permetto di sottoporle alcune riflessioni sul funzionamento delle politiche sociali nella regione dove lei ha operato come stimato professionista, come assessore della sanità e delle politiche sociali, come politico nazionale ed ora nuovamente come assessore.
Sono tematiche non nuove e che, come ebbe a dire ad una nostra assemblea di separati e divorziati, meritano attenzione, verifica e approfondimento per la risoluzione delle incongruenze di strutture pubbliche che ora dipendono nuovamente da lei. Parlo dei servizi sociali, dell’Ade, delle cooperative sociali, delle residenze protette e degli operatori psicologici, dipendenti pubblici che svolgono l’attività di Ctu per conto dei tribunali e che vengono pagati direttamente dagli utenti (i genitori). Non entro in merito alle modalità di svolgimento di questa libera professione per un dipendente pubblico e non voglio mettere benzina sul fuoco, per ora. Non parlo nemmeno degli psicologi in pensione che continuano a svolgere la professione di consulenza e nemmeno degli elenchi degli Ctu che rispecchiano certe visioni del servizio ai cittadini. Non mi soffermo su ciò che va bene perché il corretto funzionamento non è un merito ma un dovere per strutture pubbliche pagate con i soldi dei cittadini.
In Valle d’Aosta è elevato il numero dei minori coinvolti nelle problematiche legate alla fine della convivenza dei genitori. I tribunali di Aosta e di Torino con eccessiva facilità delegano i servizi sociali a formulare proposte di affido, rinunciando a sentire direttamente i minori, come invece vorrebbe il codice e la giurisprudenza e come ha ribadito la Corte di Strasburgo.
Nessuno verifica le competenze dei soggetti pubblici coinvolti in questo delicato incarico e nessun diritto al contraddittorio, alla trasparenza e all’accesso agli atti è concesso ai genitori oggetto di indagine e/o di proposte per i loro figli. Questa situazione pesante non può essere liquidata con l’asserzione che “i servizi sociali sono tenuti a interfacciarsi con il tribunale per i minori di Torino e non con me”.così come rilasciata ad un giornalista aostano.
I minori sono della Valle d’Aosta e non di Torino e tantomeno dei tribunali e talvolta “pagano” pesantemente, assieme ai propri genitori e nonni, per il malfunzionamento dei servizi sociali del suo assessorato. I minori vanno tutelati e quando le istituzioni deputate a farlo commettono errori o scelte sbagliate l’ente pubblico non può ignorare tutto ciò.
Quando il tribunale dispone per il minore in difficoltà un percorso protetto (in spazi neutri, a sostegno dei diritti dei bambini e degli adolescenti per il mantenimento della relazione con i genitori non collocatari), i servizi sociali sono chiamati “a gestire” situazioni difficili dei minori e le conflittualità dei loro genitori per garantire pari opportunità genitoriali. La regolamentazione di questi percorsi protetti, l’organizzazione strumentale di supporto alle Istituzioni come la Magistratura, le leggi sul tema dell’assistenza sociale sono di pertinenza delle Regioni.
E’ ormai indispensabile – come avviene in altre regioni e in altri tribunali – arrivare alla formulazione di un pubblico Protocollo di intesa che determini finalità, tempi, modalità e costi del percorso protetto, con regole chiare e certe, garantendo quella trasparenza che oggi non esiste. Il protocollo non può essere frutto delle decisioni di una sola istituzione o persona e deve essere condiviso da tutti, a partire dai genitori e dall’intera società civile.
Le istituzioni – tribunali, regioni e servizi sociali – hanno l’obbligo di garantire al minore e ai genitori le pari opportunità genitoriali, la trasparenza e l’acceso agli atti e – come sovente avviene – è violazione di legge non permettere al genitore o ad un suo delegato l’accesso diretto agli atti, avere documentazione completa degli incontri con i propri figli e dei test loro somministrati, oppure avere registrazione o verbale sottoscritto dei colloqui tra genitore ed operatori dei servizi sociali.
Si fa un abuso al minore e ai genitori quando si impone un percorso protetto al genitore col quale il minore ha una ottima relazione; quando non esistono garanzie di obiettività e scientificità degli interventi programmati; quando si è prevenuti nei confronti di un solo genitore; quando si prendono per vere solo le affermazioni della madre e quando la si consiglia, senza nemmeno aver ben compreso che le cose stiano veramente come da lei raccontate, di formulare denunce contro l’ex-coniuge o ex-compagno, fornendo anche consulenze legali gratuite in modo informale; quando si gestiscono le risorse economiche pubbliche in modo discrezionale senza nessun parametro di raffronto e senza la dovuta rendicontazione scritta; quando si impone anche a chi ha sempre fatto il genitore la presenza di un educatore domiciliare, spesso senza competenza, esperienza familiare e genitoriale; quando si arriva a far intendere che incorre in spiacevoli conseguenze il genitore che non accetta la mediazione familiare, l’educatore, che contraddice le decisioni dell’assistente sociale, della psicologa e dell’educatore.
Non è affatto vero che le relazioni dei servizi sociali non contano nulla. Sono proprie queste relazioni – spesso sempre identiche fra loro per impianto e per contenuti – a motivare provvedimenti del tribunale che sovente non tutelano affatto il superiore interesse del minore.
Il minore deve essere posto al centro di ogni indagine psicosociale, di ogni discussione, interpretazione e interesse sociale. Nessuno può sostituirsi al genitore naturale (solo in casi eccezionali riscontati ciò viene meno); nessuno può decidere sulla sfera affettiva del minore. Tribunali e Servizi sociali seguono prassi e riti generici, vaghi e talvolta anacronistici che portano ai risultati che noi tutti ben conosciamo o abbiamo sperimentato sulla pelle dei nostri figli e nostra.
Troppi tribunali ancora non dispongono di un vero protocollo operativo per i percorsi protetti ed incaricano i servizi sociali di provvedervi senza indicare il progetto, il tipo di protocollo, le modalità attuative e le figure professionali idonee da coinvolgere e senza pretendere il monitoraggio (diretto o da parte dell’assessorato) del loro operato.
La regione, da cui dipendono i servizi sociali, ha l’obbligo della obiettiva verifica – fatta da esperti di fuori regione – sull’attività di ogni singolo operatore, dei progetti attuativi, raffrontando risultati e costi economici sostenuti dall’intera collettività. Altrimenti si crea un circolo vizioso, autoreferente e pericoloso per tutti. Cosa dire poi di quei operatori e dirigenti che, stando alle loro asserzioni, sbaglia sempre un genitore e mai loro. Non sarebbe fuori luogo fare una indagine tra i separati.
Le ragioni dei minori non possono non essere anche le ragioni dei genitori o degli adulti – mai di uno solo – o di chi ha allevato e dato affetto ai minori abbandonati dal genitore naturale. La presunzione può giocare anche cattivi scherzi quando ci si allontana dalla “cruda” realtà e quando ci si ritiene i “padreterni” della situazione. Errare è umano, ma per tutti, poiché la verità è figlia del confronto. Sarebbe bene ricordarlo a coloro che camminano sempre sulla testa degli altri.
Il giudice ha l’obbligo di emettere provvedimenti chiari, con una direttiva precisa per i servizi, indicando percorsi, luoghi e tempi per evitare interventi fantasiosi ed inutili, lungaggini e spesa pubblica incontrollata finalizzata prevalentemente al mantenimento di strutture private (si vedano le numerose cooperative, associazioni professionali e singoli operatori sociali, la girandola di consulenze, ….).
Verifichiamo anche il funzionamento delle istituzioni extraregionali presso le quali vengono inviati con tanta facilità i bambini in difficoltà, che risultano essere altamente costose per la collettività, ma, soprattutto, inefficienti, inefficaci se non pericolose. Come mai non si affronta il problema dei giovani che escono da queste comunità con problematiche più grandi e radicate di quando vi erano stati inviati? I servizi sanno tutto ciò, ma tacciono o sottovalutano il fallimento dei loro interventi.
Cosa dire poi quando una bambina di nove anni viene sradicata dal suo contesto familiare e sociale in cui è sempre vissuta per rimandarla – senza la dovuta e competente preparazione psicologica – dalla madre che in precedenza l’aveva “dimenticata” presso la nonna paterna? Questa bambina da quattro anni è rimasta orfana del padre con il quale era sempre vissuta assieme alla nonna. Tutto ciò non è un problema del tribunale, ma anche – e soprattutto – dei servizi sociali che si “interfacciano” con la magistratura e che sono dipendenti della regione. Se i politici – comprensibilmente – non possono o non vogliono contrastare i tribunali e i servizi sociali – che dipendono da loro -, la società non può far finta che queste problematiche non esistano e che non vi siano dei responsabili.
La nostra proposta è quella di dar vita rapidamente ad un pubblico confronto su queste problematiche con tutte le istituzioni preposte alla tutela dei minori e con i separati che hanno avuto a che fare con le istituzioni per la tutela dei loro figli per arrivare ad un protocollo di intesa per la gestione dei percorsi protetti e degli interventi sociali legati ai minori e alle famiglie con figli in difficoltà. Da parte nostra ci sarà la massima collaborazione.
Aosta 28 ottobre 2013
Ubaldo Valentini