Pierino Leone e quei ragazzi della Legione straniera francese dimenticati in Indocina
Sono tanti, troppi gli aneddoti da raccontare sulla vita di Pierino Leone e suo figlio Giancarlo potrebbe continuare per ore a ricordarne altri. Proprio per preservare la memoria del padre, che nella sua vita non è stato solo un soldato della Legione straniera francese, ma è stato boxeur, partigiano, elettrotecnico, cacciatore, allevatore e molto altro ancora, Giancarlo ha deciso di contattare Luca Fregona, che di storie di guerra simili a quelle di Pierino Leone ne aveva già raccolte in Soldati di sventura (Athesia, 2020). Qui, il giornalista, caporedattore del quotidiano Alto Adige di Bolzano, ha raccontato la storia dimenticata dei settemila giovani italiani (525 i morti “ufficiali”, età media 22 anni, a cui vanno aggiunte decine di dispersi e centinaia di feriti), che hanno combattuto nella prima guerra di Indocina (1946-1954) con la Legione straniera francese.
Le pagine del primo libro, però, non sono bastate: troppi erano i familiari che hanno spedito a Fregona fotografie, lettere, libretti militari, chiedendogli di aiutarli a ricostruire la storia di un parente o di un amico che aveva vissuto quell’esperienza. Una seconda puntata non poteva che essere d’obbligo e, con Laggiù dove si muore (Athesia, 2023), Fregona ha continuato il suo lavoro di ricostruzione di una vicenda che, se nei primi anni ’50 era al centro di un vivace dibattito parlamentare molto seguito dai giornali, in seguito è finita “sotto la polvere dell’oblio e del cliché del legionario ‘mercenario e criminale’”, come si legge nella prefazione del volume.
L’esistenza di Pierino Leone, però, non si può limitare ai cinque anni di ingaggio nella Legione straniera. Nato a Villeneuve nel 1926, il giovane valdostano del celebre Pierino la peste condivide non solo il nome ma anche la vivacità e l’irrequietezza che lo accompagnerà per tutta la vita. Già a nove anni si distingue per la sua fuga da scuola in bicicletta fino a Carema, dove dorme con un amico nel fienile di un contadino, che però l’indomani chiama i carabinieri perché lo riportino a casa. Il motivo? Un brutto voto per cui non voleva essere rimproverato dal papà. Con quest’ultimo, diffidente verso il regime, ha da dissentire anche sull’orientamento politico: come tanti suoi coetanei, all’indomani dell’8 settembre Pierino Leone vorrebbe arruolarsi nella Decima Mas, ma sarà uno schiaffo ricevuto dai fascisti per non essere scattato sull’attenti durante una sfilata a farlo rinsavire.
Unitosi ai partigiani della banda Verraz, Pierino Leone si sposta nella neonata “Repubblica di Cogne” e contribuisce a difenderla nella “battaglia di Cogne” del 2 novembre 1944, quando tedeschi e fascisti costringono alla ritirata i resistenti. Comincia così la traversata verso la Val d’Isère, a ritmo di gomitate nella neve fresca alta un metro, per poi arrivare in Francia, dove è rinchiuso in un campo di lavoro perché dopo il 1940 tra italiani non si fanno distinzioni.
Per uno spirito libero come Pierino, dopo la guerra non se ne parla di restare ad Aosta. Il suo sogno di sempre, alimentato dalle letture di Salgari, è il Brasile, che il giovane si propone di raggiungere da Marsiglia. Imbarcarsi però è difficile e Pierino cerca di guadagnarsi da vivere nella città francese con ogni stratagemma. Sfrutta persino la sua esperienza passata di boxeur, sfidando in un circo un campione locale per vincere qualche franco. Senza documenti però è difficile sottrarsi ai gendarmi francesi, che alla fine lo catturano. “L’alternativa è tornare a casa oppure arruolarsi nella Legione straniera”, spiega il figlio Giancarlo, “ma uno come lui non poteva rientrare in Italia, era una questione di orgoglio, così si arruola”.
La Legione, spiega Fregona, era infatti “una specie di zattera di salvataggio per una generazione uscita a pezzi dalla seconda guerra mondiale”. Ad arruolarsi “in massima parte erano migranti economici che entravano in Francia clandestinamente dallo stesso passo da dove oggi transitano i migranti afghani e africani. Il miraggio era il lavoro, ma quando venivano presi dalla gendarmeria finivano in cella e messi di fronte a un bivio: galera/rimpatrio o Legione straniera. Molti accettavano l’ingaggio per fame, paura o per spirito di avventura, ma non avevano la più pallida idea di cosa fosse realmente la Legione, e che sarebbero finiti a combattere e morire nel delta del Tonchino”.
I primi anni Pierino li passa in Marocco e in Algeria, dove prende il brevetto di radiotelegrafista e organizza scontri di boxe tenendo alto il morale delle truppe. È proprio l’apprezzamento di queste sue qualità a evitargli la punizione nel deserto quando si fa notare per un episodio di insubordinazione. “Una volta ha dato un pugno a un caporale perché gli aveva rovesciato la branda, sostenendo che il cubo era fatto male”, racconta il figlio. “Quando il caporale ha tirato fuori la pistola, mio padre ha fatto lo stesso con una bomba a mano, fino a che i compagni non sono riusciti a calmarlo”.
Poi è la volta dell’Indocina, dove Pierino resta due anni, dal 1949 al 1951, di stanza con il Primo Reggimento Straniero di Cavalleria sulla pericolosissima Route Coloniale numero 9 che dalla costa porta al Laos. Di quegli anni terribili Pierino al figlio racconta alcune scene che non potrà facilmente dimenticare, come la pesca nelle paludi, dove vengono a galla solo mani, gambe e piedi dei viet uccisi. In mezzo a tanta violenza, commenta Giancarlo, Pierino è quasi fortunato a sopravvivere quasi del tutto indenne, perdendo “solo” un mignolo.
Le vicissitudini da un capo all’altro del mondo non si esauriscono però nei cinque anni di ingaggio nella Legione. Pierino infatti non rinuncia al sogno di andare in Brasile e vince un colloquio per esservi spedito come elettrotecnico da una società italiana. È qui che incontra Edna Salomao, una ragazza creola di Barra Do Corda che tornerà a sposare dopo una breve parentesi valdostana, passata a lavorare alla costruzione della centrale elettrica di Valpelline. In Brasile Pierino diventa allevatore e cacciatore, trascorre un periodo con una tribù di indios Bravos e ha due figli da Edna, Giancarlo e Loredana. Il primo però conserva pochi ricordi del Brasile, che lascia a soli due anni quando la famiglia decide di tornare in Valle d’Aosta, sotto le pressioni dei genitori di Pierino e di Edna, molto più innamorata dell’Italia rispetto al marito. “Non sono mai più andato in Brasile”, confessa Giancarlo, “sono sempre mancati o il tempo o i soldi. In Valle però abbiamo portato i molti regali che gli indios hanno fatto a mio papà: una pelle di iguana, un coccodrillo imbalsamato, copricapi e collane, un arco e le frecce che usavamo per fare il carnevale a Verrès!”.
Il duro allenamento di Pierino, frutto di anni di boxe e combattimenti militari, ha dato però il suo frutto: durante il suo mese di missione, ha superato la prova di forza della tribù indios che lo ospitava, riuscendo a trasportare un tronco di 50 chili nel percorso ad ostacoli sottoposto ai guerrieri. La resistenza fisica si è trasmessa, tra l’altro, ai suoi discendenti, come rivela Giancarlo: “Il mio figlio minore è nell’Asiva di Biathlon, il maggiore sta frequentando l’Accademia militare a Milano e vuole diventare pilota. In qualche modo sta cercando di fare quello che volevo fare io, visto che sono sempre stato appassionato di volo. Per me però i soldi non c’erano, quindi cerco di dargli corda. Dico spesso che se mio padre per una volta avesse continuato a fare quello che stava facendo, a quest’ora saremmo ricchi!”.
Nessuno però poteva fermare Pierino, che una volta in pensione ha deciso di ritornare in Brasile, il posto che gli ricordava per certi versi il Vietnam per la sua natura un tempo incontaminata, ma che era l’unico a sentire davvero suo. Qui Pierino è morto il 3 settembre 1992 e con lui se ne è andato un altro dei reduci della Legione straniera francese. “Per questo penso che valga la pena diffondere queste storie”, spiega Giancarlo, “perché ormai sono sempre di meno i sopravvissuti e bisogna conservare queste memorie il prima possibile”.