Leonardo David: le gioie e i dolori del giovane campione gressonaro raccolti in un libro
Negli anni ‘70 rappresentava la giovane promessa dello sci alpino italiano e a 18 anni già aveva vinto la Coppa del mondo e un oro olimpico.
“Ha trovato il destino e si è fermato lì” sottolinea la sorella Daniela, durante la presentazione di “Leonardo David – La leggenda del ragazzino campione” il saggio/biografia scritto da Riccardo Crovetti.
Fu in una caduta che Leonardo David incontrò il destino, nel 1979, durante una discesa libera a Cortina, battendo sul ghiaccio proprio la testa. Ma che quella botta fosse destino non fu subito chiaro. Il giorno dopo, con un malessere che confidò agli amici ma non ai medici, Leonardo gareggiò in una seconda discesa, che lo portò all’ospedale.
“Si era accasciato e aveva perso coscienza. Da quello che dicevano i telegiornali era morto” racconta Maria Rosa Quario, ex sciatrice e giornalista, madre di Federica Brignone. Leonardo visse in uno stato vegetatitivo e comatoso fino ai 24 anni, quando morì. “Era una tragedia: avevamo perso Leo, il faro per la squadra nazionale e per noi. Chi poteva immaginarlo?” aggiunge Maria Rosa.
Daniela David, la sorella del campione, testimonia: “E’ stato un calvario di 6 anni, è come se fosse morto due volte. Ci eravamo abituati ad avere questa persona in casa ferma, ma era comunque mio fratello. E’ stato un dolore immenso”.
“Io avevo 13-14 anni quando ho visto le immagini della sua caduta alla televisione, e sono rimaste dentro di me”. Riccardo Crovetti, l’autore del libro, ha conservato la curiosità per questo campione fino a quando, cinque anni fa, ha deciso di “riscrivere il suo percorso” sotto forma di saggio-biografia. Crovetti ha raccolto le testimonianze di amici e parenti, in molti presenti la sera di lunedì 9 agosto in una sala della Sport Haus di Gressoney-Saint-Jean gremita di spettatori, dove si è presentato il libro e dipinto il valore del giovanissimo atleta.
Le testimonianze vivide e commosse dei presenti
Gli amici di Leonardo presenti all’incontro lo descrivono con nostalgia e con una percettibile ammirazione per la sua energia e intraprendenza.
“Io ho imparato a sciare così: con Leo davanti” dichiara Piera. “Pativa tantissimo la macchina” rivela ridendo Vanda Bieler “Era un ragazzo d’oro, scatenato come lo eravamo tutti da ragazzini, ne facevamo di cotte e di crude”.
“Aveva un carisma che poche persone hanno” conferma un’altra amica “e che lo rendeva unico. Per arrivare prima si buttava giù dalla seggiovia e noi lo seguivamo, era l’apripista. Non stava mai fermo”. Questo carisma, secondo Maria Rosa, arricchiva anche gli altri. “Oltre ad avere talento aveva la voglia e un’energia inesauribile” aggiunge “non si tirava mai indietro. Voleva sempre vincere e essere migliore”.
L’amico Sergio racconta che dopo ogni gara Leonardo si recava a casa sua e già proponeva un giro in moto. “Per me era proprio un fratello; era generoso, mi insegnava i suoi segreti, era un fuoriclasse. Mi mancherà sempre, ci ha lasciato il magone. ”
“Era una persona eccezionale” dice Cesare. “Leonardo ci ha dato un affetto che c’è ancora, ci è rimasto nel cuore” afferma Vanda.
“Io non sono riuscito a leggere oltre la prima pagina del libro” ammette Giulio, subito annebbiato dalle lacrime, che lo costringono a lasciare il palco e a tornare a sedersi tra il pubblico. Anche la sorella Daniela confessa la fatica nel raccontare e lascia trasparire l’emozione. “Stare con Leo è stato bellissimo, era un campione e un fratello fantastico. Nonostante questa tremenda disgrazia non ci siamo mai separati come famiglia. Dal giorno alla notte ti cambia la vita” le trema la voce, ma conclude: “Comunque è bello ricordarlo”.
Leonardo ha anche influenza sugli atleti e sui gressonari più giovani, che non l’hanno conosciuto di persona, ma che ora grazie al libro possono scoprire la storia dietro le sue imprese. “Per noi è sempre stato una presenza, un esempio” spiega il giovane fondista Francesco De Fabiani.
Un saggio/biografia allegato di immagini
“Di solito si cerca un po’ di romanzare per rafforzare i personaggi, ma nel caso di Leo non ce n’è stato bisogno” confida l’autore Riccardo “Nelle pagine c’è tutto lui e quello che poteva essere. Quando mi sono accorto di quello che era Leo ho cercato di dare il massimo con grande impegno e dedizione”. L’autore, coinvolgendo amici, ex compagni di squadra, allenatori e parenti, ha dato forma ad un dettagliato lavoro biografico ricco di approfondimenti sulla vita e sui pensieri dell’atleta. “Volevo trasmettere il suo ricordo, il suo modo di essere”.
Nelle 192 pagine si dipana la storia di Leonardo, e di queste, 40 ospitano fotografie per la maggior parte inedite. Nelle ultime 30 pagine viene affrontato “l’argomento che mi piace meno” dice l’autore, riferendosi alla parte della storia dall’incidente in poi. “Ho sofferto a scrivere quelle ultime pagine, ho cercato di usare un tono giusto anche se non era facile, non si può immaginare la sofferenza immane che ha provato.”
“E’ uno scontro tra gioia e dolore” rivela Maria Rosa, infatti le testimonianze gioiose della prima parte della narrazione precipitano nel finale che “è solo dolore”.
Uno sciatore fuoriclasse e moderno che ha pagato per una nuova consapevolezza
“Ho voluto scrivere il libro perché Leo era un grande” riassume Riccardo. Sciatore polivalente, eccellente nello slalom ma amante soprattutto della discesa, vinse addirittura sull’imbattibile Stenmark e in una gara di fondo mise dietro anche i fondisti. Già a tre anni vinceva tutte le gare.
“Lui aveva il suo stile” ricorda il suo allenatore. Teneva gli sci più larghi, non sciancrati, proprio “come si scia oggi” nota Maria Rosa, “aveva una sciata moderna”. Ha portato un’innovazione e “rendeva, quindi perché cambiarlo?” esorta l’allenatore “Quando si ha la fortuna di avere un fuoriclasse è giusto cercare di farlo emergere e valorizzare il suo stile. Lui emergeva già da allora”. La grande forza di Leo, secondo Vanda “era la testa”.
A seguito della tragedia, a Gressoney “è stato come se qualcosa finisse” ritiene anche Maria Rosa “dopo di lui non sono usciti altri campioni”, “c’è stato un buco” aggiunge Vanda.
Però “ci ha lasciato un insegnamento”, come osserva la giornalista, ora siamo consapevoli della gravità dei colpi alla testa.
“Dopo questa tragedia se uno di noi cadeva o sfiorava uno spigolo ci tenevano fermi per un mese. Ci è voluta l’esperienza di Leo per capirlo. Purtroppo lui è quello che ha pagato”. “Ha vinto tanto, ma alla fine l’ha sopraffatto il dolore”.