Marco Mangaretto, un campione d’altri tempi

13 Settembre 2018

Per vincere una gara da 130 chilometri con 12.000 metri di dislivello ci va preparazione: bisogna allenarsi con costanza, seguendo tabelle rigide ed un’alimentazione corretta, prendersi per tempo almeno diversi mesi prima e poi, dopo il via, sapersi gestire con una strategia studiata nei minimi dettagli.

Sbagliato. Chiedere a Marco Mangaretto, vincitore, ieri sera, del Tot Dret. “A fine giugno mi hanno dato la possibilità di fare questa gara, ma come gli atleti di una volta non è che mi sono chiesto: Come faccio a prepararla in così poco? Ma io non sono uno che prepara le cose, a me piace partire”, ci ha raccontato. “Mi piace partire forte, poi vado avanti col mio ritmo, ma devo arrivare sempre fino in fondo. Piuttosto rallento, ma mi è capitato solo una volta di ritirarmi, per un problema alle braccia”. È davvero un atleta d’altri tempi, Mangaretto: corre per passione, ama la montagna e sa capire e gestire bene il proprio corpo. “A casa avevo detto che ci avrei messo 24 ore, ci ho messo 24 ore ed un minuto, non ci sono andato tanto lontano, no?”, scherza. Niente barrette energetiche per lui, solo frutta (“avrò mangiato forse dieci banane”) e crostatine. Uno che si ritaglia il tempo per allenarsi tra la famiglia ed il lavoro da operaio metalmeccanico a Pont-Saint-Martin. Uno che quando cade e gli sanguina un dito e si ritrova un ginocchio viola si rialza e riparte, senza neanche farsi medicare.

Quarantasettenne di Quincinetto, Mangaretto viene dalla corsa su strada ed ha corso prima per l’Atletica Monterosa, poi Pont Donnas ed infine Pont-Saint-Martin. Ieri sera, al traguardo, ha patito la stanchezza, ma oggi è già fresco, anche se il telefono non smette di squillare per le persone che gli fanno i complimenti. “Le sensazioni erano buone, avevo fatto bene anche nella Monterosa Walser Trail [dove arrivò quarto, ndr] ed ho fatto la prima parte di gara con i primi quattro: con Gabioud la discesa del Pinter, con Caimi fino a Ollomont. Abbiamo corso la notte insieme, per tirarci a vicenda. Poi loro si sono ritirati e mi hanno detto che Cavallo stava male, così ho iniziato a recuperare fino al suo ritiro. Ho patito la discesa dal Malatrà, ma da lì sai che il traguardo è vicino. Mi sono tolto una bella soddisfazione, è stata una delle gare più belle che abbia fatto”. E lì, sulla linea del finish, ad attenderlo c’erano la compagna Ester e la sorella Livia: “Due pazze scatenate, fuori dalla grazia di Dio”. “Siamo molto contenti della  vittoria di Marco”, dice Livia.“Lo scrivo con il cuore per le tante gare seguite e vissute con lui, Tor des Géants compresi. Marco è un uomo semplice con la passione per la montagna. Lavora come operaio e si allena quando riesce in base agli impegni lavorativi e famigliari. Non segue tabelle o alimentazione particolari, segue il suo ritmo e corre. Marco è soprattutto uno sportivo che porta a termine la gara, indipendentemente dal risultato. Si merita questo Tot Dret portato a termine con fisico, testa e cuore”.

Per Mangaretto la scelta di anticipare la partenza del Tot Dret si è rivelata azzeccata, perché “così si è evitato l’ammasso di gente. Anche con quelli del Tor, che si spostavano per farci passare, ci si incoraggiava a vicenda. Prima del Vessonaz abbiamo incontrato la Trigueros Garrote, che ci chiedeva del suo vantaggio. Però diciamo che noi eravamo concentrati su altro”. Il Tor des Géants, peraltro, è una gara che il canavesano conosce bene, dopo aver corso nel 2012 e nel 2013, oltre ad un UTMB nel 2014. “Quando vedevo quelli che facevano il Tor pensavo fossero dei pazzi. Vengo dalle martze a pià, il mio primo trail è stato il Valdigne nel 2011. Anche a 47 anni sono ancora competitivo, ma l’importante è divertirmi: domenica a Carema c’è una 7 km per la festa del vino, sono anche capace di andarci”.

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