Fango e sorrisi: il racconto di un volontario tornato dall’Emilia Romagna
Mercoledì 1° giugno a fine giornata di una primavera timida, prendo in mano lo smartphone e scorro le notizie che si contendono il primo posto per rilevanza. Tra missili “intelligenti” che cadono nelle camere dei bambini distruggendo pericolosissimi robot giocattolo e bambole insieme ai bambini che ci stavano giocando credendo, chissà con che diritto poi, di non essere un obiettivo di guerra e donne trucidate soltanto perché hanno amato la persona sbagliata o perché non l’hanno voluta amare, cercando di allontanare da sé un possibile pericolo, mi sono finalmente rifugiato nelle notizie locali sperando di trovare informazioni un po’ meno inquietanti per chi come me è un papà che ha cercato di crescere i figli tra amore giusto e obiettivi umani.
Tra le notizie locali, appunto, mi ha colpito questa: “Rientrato dall’Emilia-Romagna il terzo contingente dei volontari della Protezione Civile regionale”; forse per l’assonanza con il termine intelligente o forse perché mi è sembrato troppo militareggiante per esprimere cosa davvero ci sia stato dietro il lavoro di quella terza squadra. Ecco si, squadra funziona meglio. Dodici sconosciuti o quasi che si trovano all’improvviso su un’autostrada verso l’Emilia-Romagna dove davanti ad un caffè in autogrill cominciano a studiarsi ed a mescolare le loro vite che, per i prossimi cinque o sei giorni, saranno inevitabilmente messe all’angolo.. e lì comincia quella strana alchimia per cui il gruppo-contingente comincia a diventare un’altra cosa.
Si esce dall’autostrada ed inizia il fango, prima soltanto sui bordi della strada, poi nei campi, sulle auto, sui camion e sulle vite delle persone ammucchiate sul percorso in cumuli polverosi e maleodorante da schivare come se si stesse partecipando ad una macabra gimcana. Poi l’impatto con le brandine da campo, allineate in un palazzetto caotico ma che restituiscono un minimo di rifugio anche a chi è nato con un materasso in
Memory già nella culla.
Si parte verso il primo cumulo di sofferenza, libri e documenti da spostare dalla soglia di una biblioteca devastata verso un punto dove il famigerato ragno potrà cibarsene mescolando sapere e ignoranza, memoria e oblio. Il ragno, appunto, una sorta di camion gru che affascina e spaventa, con quella forza che stritola ogni cosa e, senza nessun possibile riguardo, la scarica nell’immensità del mucchio del nulla. Un vero mostro meccanico condotto da uomini miti e gentili che soffrono con noi mentre cancellano anni di impegno e sacrifici con movimenti precisi ed attenti mescolati a sorrisi e gesti delicati sulle leve di comando.
I sorrisi cominciano a tornare sui nostri volti quando si abbassano le mascherine e le pale diventano appoggi specialmente per quelli di noi che solitamente maneggiano al massimo un mouse.
Poi arriva il lavoro davvero “sporco”, quando entri nelle case e demolisci mobili, letti e camere intrise di sudiciume e di un fango caldo, ancora sorprendentemente liquido dopo giorni e che fa pensare ad un sangue non rappreso di quelle vite distrutte ma non cancellate e che all’improvviso rifioriscono in una battuta – in dialetto romagnolo- del padrone di casa rivolta al vicino sorridente: “vuoi un mobile? … no grazie ho già qui
sul mucchio un modello uguale!” E qui non hai scelta: o fai una figura di merda e ti metti a piangere lì dove sei, commosso per la tanta forza d’animo o nascondi dietro al ragno che lì vicino sta giusto masticando una biciclettina con rotelle ed un cuscino con la federa di Winnie the Pooh..
Altre giornate, altri ragni, altri mucchi di vite di uomini e donne che non si accontentano di dire grazie e di stringere la mano ormai arrossata per il lavoro, il sudore ed il fango incrostato ma devono materializzare la loro gratitudine: un caffè? Acqua? Due biscottini? Poi sgrani gli occhi e vedi due signore piccole e di aspetto fragile che camminano verso di noi con un vassoio in mano. Ci fermiamo, ci scambiamo sguardi interrogattivi
e riconosciamo due donne che passavano di lì poco prima e che si erano fermate ad osservare il nostro lavoro.
Su quel vassoio di dolci caldi appena fatti c’è scritto con una biro GRAZIE PROTEZIONE CIVILE VALLE D’AOSTA!
D’istinto cerco un ragno dietro il quale nascondermi ma non ne vedo nei paraggi… in compenso vedo che la mia emozione si riflette negli occhi lucidi e nei sorrisi dei miei compagni e.. chissenefrega.. ci abbracciamo e lì in mezzo a quella strada polverosa tutti capiamo quanto valga la pena vivere e faticare se poi la vita sa ricambiare con emozioni così sincere e profonde.
Dopo giorni trascorsi così, tra abbracci e lacrime, tra fango e sorrisi guardi la tua uniforme inzaccherata e vivi la strada del ritorno verso casa con un misto di sollievo perché sai che riabbraccerai le persone che hai lasciato a casa ma anche con una sottile malinconia perché domani non suderai insieme a Roberto, Susy, Corrado, Francesco, Nella, Cesare, Federica, Rebecca, Giovanni, Mathilde e Daniela con i quali hai condiviso per giorni l’essenza di essere un Volontario.
Scrivo queste righe perché so che i miei colleghi Volontari dei contingenti partiti prima del mio hanno vissuto e lavorato allo stesso modo e, conoscendoli, so che hanno provato gli stessi sentimenti ed emozioni mescolati con lo stesso fango e gli stessi sorrisi. Ho soltanto voluto condividere una testimonianza di ciò che ho vissuto e non me ne vogliano persone o gruppi che non ho citato. C’erano Vigili del Fuoco, personale CRI ed Esercito
con uniformi sporche e visi arrossati per la fatica e per la stessa grande passione: aiutare e abbracciare una popolazione civile davvero eccezionale. E’ stato un onore far parte di questa grande squadra!
Un abbraccio speciale a mio figlio che era con me in emergenza per la prima volta.