Come fingere di difendere la vita per attaccare i diritti delle donne

02 Marzo 2019

In base al verbo leghista si possono definire “città per la vita” quelle in cui attraverso vie poco chiare, stratagemmi propagandistici e imprecisati “aiuti” alle donne che intendono interrompere la gravidanza, in base al diritto sancito dall’ormai più che quarantennale legge 194, si cerca in ogni modo di persuadere chicchessia, ma in primis ovviamente le donne in questione, che l’aborto vada in ogni caso evitato. Meglio, pensano i leghisti e gli integralisti cattolici che si annidano in svariate forze politiche di destra, centro destra e “autonomiste”, suggerire di partorire di nascosto, in casa, nel bagno di un bar, per poi correre a deporre il neonato nella culla messa a disposizione da un istituto ecclesiastico o da qualche associazione pro vita, piuttosto che interrompere la gravidanza nei tempi stabiliti dalla legge o partorire in ospedale in forma anonima e poi lasciare legalmente che il neonato venga adottato. Meglio quindi il ritorno alla “ruota degli innocenti”, alle gravidanze vissute con vergogna, ai parti fuori dalle strutture sanitarie, inevitabilmente rischiosi, piuttosto che lasciare alle donne la possibilità di decidere come affrontare una gravidanza indesiderata. Perché questo è il punto, al di là di ogni ipocrisia, una gravidanza può non essere voluta per mille motivazioni differenti che il legislatore, nell’ambito di uno Stato di diritto e non di uno Stato etico, non pretende né di conoscere né tantomeno di giudicare.

La legge 194 si fonda del resto su due principi fondamentali: la tutela della salute delle donne e della loro libertà di scelta. Nella mozione presentata al Comune di Aosta, così come in altri Comuni italiani, a riprova di un disegno politico che travalica i confini locali, si fa riferimento all’articolo 4 della 194 fornendone tuttavia un’interpretazione strumentale che ignora volutamente come nel 1978 il testo di legge sia stato l’evidente frutto di un compromesso tra istanze di autonomia e autodeterminazione delle donne e volontà di controllo da parte della Stato. Non solo il “compromesso” di allora ha condotto a porre come centrale, com’è giusto che sia, il benessere psicofisico della donna, ma questo principio è stato messo dal legislatore, proprio nell’articolo 4, in relazione «al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento» ovvero a condizioni e situazioni per lo più valutabili soggettivamente e in nessun caso lasciate in balia di giudizi esterni fondati su parametri che si vorrebbero oggettivi. In base a quale criterio che non sia puramente pregiudiziale, capzioso, ideologico si ritiene, quindi, che la piena applicazione della 194 consista nell’affidare ad associazioni pro vita, e quindi antiabortiste per principio, il ruolo di sostegno alle donne che si trovano nella non facile situazione di dover scegliere se interrompere o portare avanti una gravidanza? Si cita in questa mozione, e in quella che a breve la Lega presenterà al Consiglio Regionale, l’articolo 1 della 194 in cui si ricorda che l’aborto «non è un mezzo per il controllo delle nascite», dimenticando che nel 1978, quando grazie a questa legge l’aborto è stato depenalizzato, la diffusione dei contraccettivi non era certo paragonabile a quella attuale. Per quale ragione, quindi, richiamare nel 2019 un articolo di legge che con tutta evidenza fotografa una situazione di più di quarant’anni fa? Perché far credere che ci sia oggi una pletora di donne che ricorrerebbe all’Ivg come forma di controllo delle nascite? Gli estensori di queste mozioni hanno una pur vaga idea di cosa significhi per una donna abortire? Davvero suppongono che in poche o tante scelgano l’aborto al posto dei contraccettivi?

Al di là dei deliri oscurantisti è utile ricordare quali e quanti cambiamenti sono intervenuti nella società italiana dagli anni Settanta ad oggi, sia in termini culturali che sociali. Dalle “ragazze madri”, vittime della riprovazione o della pietà collettiva, si è passati, per fortuna, a donne i cui diritti sessuali e procreativi non vengono messi in discussione se non negli ambienti più retrivi e reazionari. Il tasso di abortività volontaria è nel nostro Paese in continuo calo (oltre il 50% di aborti in meno dall’entrata in vigore della legge sull’Ivg) anche, come già ricordato, per effetto della diffusione, sebbene ancora non sufficiente, dei metodi anticoncezionali, compresa la cosiddetta “pillola del giorno dopo”. Sono inoltre praticamente scomparse le morti per aborto e, nonostante i reiterati tentativi di colpevolizzarle, le donne italiane si pensano libere, libere innanzitutto di scegliere quando diventare madri.

Nel 1981 la legge 194 è passata indenne attraverso due referendum di segno opposto, di cui uno proposto dal Movimento per la vita, ma i pro life non hanno mai smesso di perseguirne l’abolizione o il forte ridimensionamento a partire dal sostegno incondizionato alle “obiezioni di coscienza”, anche in ambito farmacologico. E dire che per ben due volte l’Italia è stata condannata dal Comitato dei diritti sociali del Consiglio d’Europa per i troppi obiettori che impediscono alle donne di ricorrere all’Ivg, violando così l’art. 11 della Carta sociale europea che tutela il diritto alla salute.

Facendo strame di ciò che in quarant’anni la 194 ha garantito alle donne, ovvero la possibilità di interrompere una gravidanza senza rischiare la vita, le mozioni antiabortiste che si diffondono in tutta Italia ripropongono un modello di controllo patriarcale, maschile e maschilista sul corpo femminile con il quale si sperava di non doversi più confrontare in ragione di una condivisa e “moderna” consapevolezza dei diritti sessuali e procreativi delle donne. Come ha scritto Zagrebelsky «Quello che c’è prima della nascita non riguarda il diritto» e ciò che determina le scelte delle donne rispetto alla maternità riguarda solo loro e non può e non deve essere sottoposto al giudizio altrui, men che meno a quello di associazioni schierate e di forze politiche che subdolamente attentano alla legge in vigore pretendendo di piegarla alla propria “morale”.

Al posto di colpevolizzare le donne che scelgono di abortire sarebbe davvero necessario e urgente introdurre l’educazione sessuale e relazionale nei programmi scolastici, finanziare la contraccezione gratuita, garantire l’Ivg in tutte le regioni e in tutti gli ospedali, costruire un welfare adeguato alle esigenze di madri e bambini e smetterla una volta per tutte di attaccare quei diritti che le donne si sono tanto faticosamente conquistate e che rappresentano un vanto indiscutibile della nostra democrazia.

Viviana Rosi
Associazione DORA Donne in Valle d’Aosta

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