Anatomia di un graphic designer: Saul Bass e il cinema

07 Dicembre 2023

In questa puntata della rubrica di AIACE VdA, Ludovico Franco vi parlerà non di un regista, né di un attore o sceneggiatore, ma di un graphic designer: Saul Bass.

Quando sul grande schermo scorrono i titoli di testa, tra le poltrone si disegna una costellazione di luci fastidiose di tanti piccoli telefoni. A chi interessa leggere una serie di nomi e di scritte? Questa è un’abitudine dello spettatore dura a morire, sintomo di ben più d’una semplice disattenzione. Il cinema contemporaneo ormai sembra non aver più bisogno degli opening credits, che da passaggio obbligatorio per un’opera sono diventati un ostacolo alla visione. I film durano sempre di più, ma se prestiamo attenzione quasi tutti presentano titolo e nomi soltanto a seguire l’ultima inquadratura. Pare che lo spettatore medio non sia in grado di reggere qualche minuto di un elenco di nomi, tant’è che le piattaforme offrono la possibilità di saltare i credits di apertura, specie per le serie tv, per far tuffare lo sguardo direttamente nella visione.

Nonostante queste ultime evoluzioni, per una parte del corso della Storia del cinema non è stato affatto così. Certo, lo spettatore medio comunque vedeva i titoli di testa solo come occasione per chiacchierare ancora qualche minuto, per andare in bagno o potersi permettere un leggero ritardo, ma in ogni caso vi era un periodo in cui c’erano individui geniali desiderosi di mutare questa formalità obbligatoria in arte vera e propria. Uno di questi visionari fu Saul Bass, illustratore di poster, regista e soprattutto title designer. La sua firma inconfondibile lo rende a tutti gli effetti un Autore, con uno stile riconoscibile degno della migliore arte pubblicitaria. Il discorso dei titoli di testa ormai in disuso può venire applicato anche alle locandine, che da vari decenni sono sempre meno stimolanti o fantasiose. Negli anni ‘50 c’erano poster di certi B movies di sci-fi che erano sicuramente meglio del film che dovevano rappresentare. Oggi basta estrarre un fotogramma particolarmente esemplare del film e aggiungervi titoli e nomi, quando in passato disegnatori di altissimo livello sfogavano la loro creatività creando locandine di grande potenza evocativa.

Come si fa a non resistere alla perfezione estetica esercitata dei celebri poster originali di Vertigo, Anatomia di un omicidio o Shining? Il tratto autenticamente personale, le geometrie nette e semplici, tra figure stilizzate e colori vividi. Nella Hollywood classica Saul Bass collaborò con i maggiori autori, come Otto Preminger, Alfred Hitchcock, Robert Aldrich e Billy Wilder. In ogni suo lavoro ricercò con attenzione la semplicità delle forme, per togliere invece di aggiungere, seguendo i migliori insegnamenti del riduzionismo minimalista. E chi l’ha detto che la politique des auteurs non possa venire applicata anche ai graphic designer del cinema?

Poster Saul Bass

L’artista newyorkese di origini ebree iniziò la sua carriera negli anni ‘40 come pubblicitario, creando loghi per diverse aziende. Coniugò l’arte con lo studio presso il Brooklyn College, dove venne iniziato al costruttivismo e all’arte Bauhaus, che avrebbe avuto tanto riscontro nel suo stile. La vera svolta nella sua carriera fu quando nel 1954 Otto Preminger gli commissionò il poster e poi i titoli di testa di Carmen Jones. Seguirono Quando la moglie è in vacanza (1955), Il grande coltello (1955) e l’affermazione definitiva con L’uomo dal braccio d’oro (1955) di Preminger. Sullo splendido tema musicale di Bernstein, linee bianche, nette e violente, finiscono per diventare un braccio spigoloso e contorto, anticipando la perdizione nella tossicodipendenza del protagonista interpretato da Frank Sinatra. Si intravede una precisa idea di poetica: Bass sente la necessità di coinvolgere il pubblico dal primo frame, in quanto parte integrante dell’opera filmica, per sfruttare a pieno le potenzialità creative. Come una sorta di pioniere involontario, sperimentò con disegni e scritte per creare il clima più affine al film.

Uno dei punti più alti della sua carriera inizia nel 1958, con la composizione della triade perfetta tra Bass, Alfred Hitchcock e il compositore Bernard Herrmann. Quell’anno in particolare è il momento del suo capolavoro assoluto, ovvero i titoli di testa di Vertigo, per cui realizzò anche l’iconico poster e la celebre sequenza animata dell’incubo. Un primissimo piano con particolari della bocca e degli occhi passa da un tono desaturato al rosso più viscerale. L’occhio tagliato di Un chien andalou di Bunuel è qui lacerato dal titolo stesso che fuoriesce dalla pupilla e se nel capolavoro surrealista si squarciava il reale come il velo di Maya con un rasoio, per aprirsi al surreale e indagare la psiche, qui si ha un processo analogo. Si accede a un mondo totalmente astratto, fatto di spirali vertiginose, geometrie contorte e labirintiche come il capolavoro di cui costituiscono un’anticamera di ossessioni e simbologie. Non si cita il capolavoro di avanguardia surrealista a caso, perché l’arte di Bass tocca molto da vicino quel tipo di opere filmiche irripetibili. Non distano più di tanto da Diagonal symphonie, i vari Opus di Ruttmann o Anemic cinema di Duchamp. Molti dei suoi titoli di testa potrebbero venir considerati e analizzati separatamente dal testo di cui compongono l’apertura. Quasi come l’ouverture di un’opera teatrale.

L’anno successivo a Vertigo continuò la collaborazione con Hitchcock e le musiche di Hermann in Intrigo internazionale, dove un reticolato di linee su sfondo verde svela lo scheletro di un grattacielo di New York per poi dissolversi nel riflesso delle strade. Procede poi con Psycho (1960), in cui comprese che anche solo delle linee parallele e semplici in rapida successione potevano contenere in nuce il senso simbolico della pellicola, un vero e proprio tracciato nervoso della mente di Norman Bates, la cui mente è incrinata e instabile come i caratteri delle lettere.

Per tornare al sodalizio Bass-Preminger, questo legame durò tutta la carriera del regista, dalla figura stilizzata di Santa Giovanna (1957) al volto picassiano di Bonjour tristesse (1958), dalla cupola ribaltata del Campidoglio di Tempesta su Washington (1962) al telefono nero di Il fattore umano (1979), senza dimenticare la carta strappata di Bunny Lake è scomparsa (1965), le braccia e le fiamme di Exodus (1960), o le gambe incrociate di Ma che razza di amici! (1971). Nell’immaginario cinematografico, Preminger è quasi indissolubile dalle figure e dalle forme dei poster dei suoi film.

Poster di Tempesta su Washington

Come non parlare del magnifico disegno del corpo smembrato di Anatomia di un omicidio, che nel 1959 rese Bass famoso in tutto il mondo, per la sua secchezza e pregnanza, sull’altrettanto celebre partitura jazz di Duke Ellington? La dinamica tortuosamente ambigua della storia si lega direttamente all’incertezza delle lettere ineguali del titolo. Si instaura così un intimo legame con il film: quel corpo stilizzato è talmente emblematico da essere riconosciuto facilmente anche nelle sue derivazioni in altri film, come nel poster di Clockers di Spike Lee. Da quel momento si comprende l’importanza dello strumento degli opening credits, enigmatici nella loro essenzialità e facile accessibilità, per far riflettere lo spettatore sui possibili significati simbolici. La potenza dell’arte di Bass sta proprio nella scelta di elementi semplici, riconoscibili, ma con una carica simbolica ineguagliabile, e nella tessitura di risonanze emotive che migliorano l’attenzione alla visione. Va da sé infatti che titoli di testa accattivanti e creativi aumentano curiosità, interesse e fascino verso l’oggetto filmico.

Per un altro grande maestro del cinema classico, Billy Wilder, oltre ad aver realizzato i titoli di testa per Quando la moglie è in vacanza, disegnò anche i magnifici poster di Arianna (1957) e Uno, due, tre (1961). Ma non solo Wilder, Preminger o Sir Alfred: bisogna sicuramente citare tra le tante collaborazioni anche altri suoi importanti lavori. Celebri le luci, gli slot e le carte di Colpo grosso (1960); le figure marmoree classicheggianti in Spartacus (1960) di Kubrick; la locandina e gli splendidi graffiti nei titoli di coda di West side story (1961), in cui si devono scovare i nomi della troupe; la sinfonia urbana di Momento selvaggio (1961); il simpatico cartoon di Questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo (1963); l’impasto magmatico e angosciante del volto di Rock Hudson in Operazione diabolica (1966), capolavoro perturbante che sembra dialogare con gli opening credits di Repulsione (1965) di Roman Polanski, che a sua volta sembra guardare a Bass e all’occhio Vertigo.

Un’altro suo capolavoro è sicuramente la sequenza d’apertura di Anime sporche (Edward Dmytryk, 1962), per cui realizza un vero e proprio cortometraggio con un gatto nero che simboleggia la torbida vicenda del melodramma. Visto oggi sembra un autentico videoclip delle magistrali musiche (sempre jazz) di Elmer Bernstein o uno spot pubblicitario. In questo caso sono sicuramente più interessanti i titoli di testa presi da soli rispetto al film nel complesso.

Per avvicinarci ai suoi lavori più tardivi, ma pur sempre personalissimi, giungiamo ad Alien (1979), in cui le lettere si compongono pian piano mentre scorrono i nomi di cast and crew, o alle sue eleganti e raffinate creazioni per La guerra dei Roses (1988). Disegnò anche un magnifico poster per Schindler’s list (1993), poi respinto e mai utilizzato, sintomo di un periodo che stava iniziando a dimostrarsi sempre più pigro anche per quanto riguarda le locandine.

Poster Schindler’s list – Saul Bass

Questo piccolo grande genio, purtroppo oscurato dall’ombra dei giganti di Hollywood per cui lavorava, non poteva sfuggire alla luce di uno degli spettatori più attenti e appassionati del cinema, cioè Martin Scorsese. Negli anni ‘90 gli chiese di disegnare i titoli di 4 suoi capolavori, cioè Quei bravi ragazzi, Cape fear, L’età dell’innocenza (qui l’eleganza graziosa di merletti e fiori sembra intrappolare in un reticolato bello quanto rigido la società newyorkese) e Casinò (dove fiamme e colori sgargianti descrivono in pochi minuti la parabola di discesa agli inferi del protagonista).

In ogni suo lavoro si può riscontrare la dimensione primitiva di un tratto quasi infantile, alla ricerca della purezza del disegno, geometrico, tagliente e spigoloso. Tutto ciò per riflettere la psiche dei protagonisti dei film, l’andamento della storia o richiamare i motivi fondamentali e, per quanto riguarda lo spettatore, stimolare le aspettative, preparare l’animo e stabilire una risonanza emotiva. E sempre con l’accompagnamento musicale migliore per contribuire all’effetto desiderato. L’impatto esercitato dalle sue opere e trasmesso dai suoi credits non ha lasciato indifferenti intere generazioni di registi. Per citarne uno (non) a caso, si pensi a Pedro Almodovar e ai suoi titoli di testa eccentrici e deliziosamente camp. Saul Bass fu dunque un artista autentico, e chissà che regista inventivo sarebbe stato, se solo non si fosse fatto deludere dall’insuccesso del suo unico film dietro la macchina la presa, Fase IV: distruzione Terra, piccolo cult di fantascienza dall’animo ecologista.

Ma abbiamo parlato fin troppo di poster e sequenze che comunicano sicuramente meglio da soli e senza l’ausilio della parola, talvolta superflua e traviante. Quindi l’invito è di guardarvi tutti i film citati, certo, ma di prestare particolare attenzione ai titoli di testa. E ricordatevi bene: anche quelli sono parte integrante del cinema.

di Ludovico Franco

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