Barbie e Oppenheimer, le recensioni dei film di cui tutti parlano

31 Agosto 2023

Il tormentone estivo “Barbienheimer”, nato fenomeno social globale dei due film più attesi della stagione, ovvero Barbie e Oppenheimer, è ancora sulla cresta dell’onda: in questo articolo collettivo della rubrica “Incontri ravvicinati con AIACE” di Aiace Vda, vi presentiamo, con annessi i pro e i contro, i due film con protagonisti la più celebre bambola di Mattel e del padre della bomba atomica.

Barbie di Greta Gerwig, in sala

Se siete delle Barbie cinefile dovreste aver visto Gli uomini preferiscono le bionde, uscito nel 1953: vi ricordate la scena dove Jane Russell fa un numero musicale circondata da atletici giovani muscolosi, tutti al suo servizio e oggetto di contemplazione fisica? Immerso nell’oceano di male gaze che contraddistingue(va) la Hollywood classica, questo esempio più unico che raro per gli anni ‘50 vede un intero film incentrato sullo sguardo e sul desiderio femminile. Nel capolavoro di Hawks, a rimanere muti sono i gruppi di nuotatori e di atleti, che sono lì, esistenti in scena solo perché visti dal duo femminile Mansfield-Monroe. In Barbie di Greta Gerwig, esattamente a distanza di 70 anni tra riforme culturali e cambi di costume, Ken è felice solo quando Barbie lo guarda. Perché Barbie parla anche, e soprattutto, di sguardo: sociale, (a)sessuale, politico, spettatoriale.

Barbie scena del film

Durante la visione del film, infatti, non bisogna mai dimenticarsi che i concetti base del femminismo vengono esposti per la prima volta a una bambola, ignara dell’esistenza del virus del patriarcato. Se il monologo della madre interpretata da America Ferrera appare banale o didascalico, non è perché Greta Gerwig non sa trattare in modo serio il femminismo, ma perché al contrario sa come spiegare concetti culturali complessi in modo semplice al pubblico più ampio possibile. Non stupisce che il 99% delle critiche negative siano da parte del pubblico maschile, che sembra abbia avuto più di una difficoltà nell’adottare un punto di vista opposto al proprio. E dal sincretismo tra commedia blockbuster ed emancipazione femminile otteniamo un divertentissimo cocktail camp tinto di rosa, che pare abbia causato una carenza internazionale di vernice per la realizzazione della scenografia. Un’opera profondamente superficiale, come amava definirsi il re della pop art Warhol, ma incredibilmente cinefila. Le più varie citazioni spaziano da 2001: odissea nello spazio (ormai cult il teaser e l’incipit) a Cantando sotto la pioggia (la danza nella scenografia astratta dei Ken), passando per PlayTime di Jacques Tati (gli uffici Mattel, l’assenza di privacy negli edifici di Barbieland) o i Monthy Python.

Si crea poi un cortocircuito, specchio del contemporaneo, tra capitalismo (cioè il cinema stesso, arte-industria) e satira del capitalismo, verso la Mattel e i suoi direttori. Oltre che a un ritorno al marketing in grande stile, con le più fantasiose e fashion campagne pubblicitarie, includendo una colonna sonora di all pop stars. Un Adamo ed Eva alla rovescia, dove Ken nasce dalla costola di Barbie e i due devono andare via dal paradiso Barbieland verso il mondo reale, percorrendo una strada di mattoncini rosa, ma non alla ricerca del mago di Oz: Barbie, che ricorda l’ingenuo Candide di Voltaire, cerca sé stessa, verso un’irreversibile scoperta delle difficoltà del nostro quotidiano. Non le resta che trasformarsi da icona per le bambine di tutto il mondo (e condanna per gli standard estetici) a donna in carne e ossa. (di Ludovico Franco)

Pro: Il mondo si tinge di rosa con Barbie. Il film di Greta Gerwing, infatti, è molto più di un omaggio alla famosissima bambola inventata da Ruth Handler: la regista propone una vera riflessione filosofica e femmisista. Barbieland si presenta come un mondo all’incontrario dove vige il matriarcato e, attraverso una sottile satira, vengono messi in luce gli aspetti più assurdi della società maschilista e binaria alla quale siamo abituati. Nel film, una perfetta e iconica Margot Robbie interpreta la protagonista Barbie stereotipo, credendo fin dal principio nel progetto anche nel ruolo di produttrice. Uno dei punti di maggiore forza di Barbie è senza dubbio la sua capacità di mescolare con ironia e disinvoltura vari linguaggi, come quello della commedia e del musical, aprendosi ad un pubblico molto ampio. Il film stupisce con diversi Easter egg e citazioni cinematografiche imperdibili, mentre porta sul grande schermo alcune delle bambole Mattel più amate dagli anni ‘50 in poi. Infine, grazie all’accuratezza della fotografia, è divertente quanto surreale immergersi nel mondo fatto di plastica rosa di Barbie, un film che, con la sua apparente leggerezza, il suo sguardo critico, i suoi colori sgargianti e i incassi da record, ha saputo ritagliarsi un posto nella storia. (di Chiara Daniela Zoja)

Contro: Nonostante la (seppur rassegnata) consapevolezza che il modo più efficace per parlare di femminismo – anche se di un femminismo superficiale e per tanti aspetti scontato – a un pubblico di ampio respiro sia utilizzare la voce di un medium mainstream come il giocattolo più iconico del mondo, la domanda che sorge spontanea è: qual è il senso di usare come portavoce di tematiche “femministe” la Biondissima Bambola dal corpo perfetto? La risposta sta nella necessità di Mattel di ricollocare Barbie in un contesto commericiale contemporaneo in cui la consapevolezza sulle questioni di genere delle potenziali piccole donne giocatrici e mamme acquirenti sia più ampia di quella di chi sperimentava acconciature e cambiava i vestiti di Barbie qualche anno fa. Il vestito rosa shocking che indossa il film, fregiandosi di portavoce dei diritti delle donne, diventa facilmente una eccezionale manovra di marketing che si tinge di pink washing. Il rischio che si prende Greta Gerwig è quello di firmare un blockbuster prestigioso in termini di visibilità e incassi, che però risulta molto rumoroso e poco coeso per il pastiche di linguaggi e di registri che si alternano troppo velocemente. Piccole le parentesi di sincera autoironia. (di Carolina Grosa)

Oppenheimer di Christopher Nolan, in sala

Una delle chiavi di lettura del film è nel titolo del libro vincitore del premio Pulitzer a cui si ispira Christopher Nolan: American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer di Kai Bird e Martin J. Sherwin. In un esplicito intreccio tra mitologia e realtà, Oppenheimer (Cillian Murphy)  viene rappresentato come un prometeo moderno all’interno di una parabola esistenziale tesa tra trionfo e tragedia. Prometeo, etimologicamente “colui che vede prima”, è nella mitologia greca il Titano che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e che viene punito da Zeus per la sua azione. Nel Novecento, R.J. Oppenheimer è il fisico a capo del progetto Manhattan che progetta la bomba atomica dando all’umanità un fuoco distruttivo potenzialmente sterminatore del mondo e che verrà inchiodato per la propria stessa creazione.

Oppenheimer scena del film

Il film di Nolan, attraverso una scomposizione della linearità degli avvenimenti, racconta la vita del fisico e il suo percorso professionale dalla teoria alla pratica: si va dallo studio ai progetti a Los Alamos, al test nucleare di Trinity, dallo scoppio della bomba su Hiroshima e Nagasaki all’udienza a porte chiuse che lo accusava, in pieno maccartismo, di essere un pericolo per la sicurezza nazionale. Il tempo, topos del cinema di Nolan che lo manipola (Memento), cristallizza (Insomnia), manda indietro (Tenet), sviscera nell’onirico (Inception) e nello spazio (Interstellar), è in Oppenheimer un conto alla rovescia. In attesa della creazione. E dell’arrivo dell’esplosione. Per immergersi meglio nella mente e nella vita del suo protagonista, Nolan scrive la sceneggiatura in prima persona e sceglie un’estetica che rispecchia l’oscillazione tra soggettivo e oggettivo: in bianco e nero, c’è l’oggettività della storia; a colori, c’è la storia attraverso la soggettività del protagonista. Ma l’accesso all’interiorità dell’uomo rimane parziale: Nolan perlustra la mente umana dedicando a Oppenheimer tantissimi primi e primissimi piani che lo mettono in risalto dallo sfondo, dal mondo e dagli altri, ma l’uomo rimane un mistero, tra luci e ombre, fama e caduta, ricerca scientifica del pericolo – della fine e della morte – e crisi morale nei confronti della propria stessa creazione. Come Prometeo, Oppenheimer lo aveva già visto prima. Un evento che cambia la storia dell’umanità. Un’esplosione che porta con sé un nuovo inizio. Un tempo da cui non si può più tornare indietro. (di Sara Colombini)

Pro: Uno dei punti di forza del film è il pieno inglobamento dell’attenzione e della riflessione dello spettatore di fronte a ciò che viene mostrato sia a livello oggettivo (realtà dei fatti, rappresentata in bianco e nero, post-Hiroshima/Nagasaki) sia a livello soggettivo (del personaggio, rappresentata a colori, pre-Hiroshima/Nagasaki). In particolare, risaltano il tumulto interiore di Oppenheimer e la consapevolezza di ciò che la bomba atomica può effettivamente comportare: è tangibile, lo si percepisce sottopelle, manda in confusione perfino la mente più lucida. Risulta dunque interessante ai fini esistenziali la questione del dilemma morale della persona dietro la creazione della bomba atomica: gloria eterna per aver toccato il più grande traguardo scientifico raggiunto dall’umanità fino ad allora oppure perseguimento dell’etica volta alla preservazione della vita umana? (di Hermes Di Stefano)

Contro: In Oppenheimer si possono ritrovare tutti gli elementi che richiamano le caratteristiche spesso contestate del cinema di Christopher Nolan. In primis, la prolissità narrativa che spesso caratterizza le opere del regista. Un cinema che si manifesta prevalentemente attraverso l’immagine non è un’opzione contemplata nella filmografia di Nolan, in cui i momenti di silenzio e pausa risultano essere un lusso poco concesso. Questo approccio verboso può essere considerato sintomatico della sua insistenza nell’esplicitare e analizzare ogni dettaglio, talvolta a discapito dell’implicita suggestione che le immagini potrebbero veicolare. Altro elemento di controversia è l’uso eccessivo e quasi onnipresente della colonna sonora. Sebbene la musica sia una componente essenziale nell’esperienza cinematografica, talvolta sembra che Nolan la utilizzi come un accompagnamento costante che rischia di appesantire il ritmo della narrazione anziché enfatizzarne i momenti cruciali.

Altro tratto che spesso solleva interrogativi è la propensione del regista a frammentare la narrazione. La creazione di linee temporali multiple può risultare stimolante in termini concettuali, ma nell’attuazione pratica, questa strategia può comportare una complicazione della trama che alla lunga potrebbe risultare faticosa per il pubblico rendendo l’esperienza di visione più simile a un esercizio di risoluzione di puzzle che a un coinvolgente viaggio narrativo. L’ultimo aspetto riguarda la mancanza di caratterizzazione empatica nei suoi personaggi. In molte delle sue opere, i protagonisti sembrano essere più strumenti funzionali all’intreccio che individui dai quali il pubblico può sentirsi coinvolto emotivamente. Questo aspetto può contribuire a una sensazione di distacco e, in alcuni casi, a un calo di interesse nel destino dei personaggi stessi. (di Gianluca Gallizioli)

Exit mobile version