“Tutta la vita davanti”: la grande eredità cinematografica di Michela Murgia
In questa puntata individuale della rubrica “Incontri ravvicinati con Aiace” Chiara Zoja di Aiace Vda vi propone alcuni titoli per ricordare l’incredibile contributo di Michela Murgia al mondo cinematografico, ripercorrendo in particolare la storia di “Tutta la vita davanti” diretto dal regista Paolo Virzì a cui l’autrice ha contribuito con le sue riflessioni profonde e desiderose di giustizia.
Da alcuni mesi il mondo della cultura italiano piange la scomparsa di Michela Murgia, senza dubbio una delle autrici e pensatrici più influenti del nuovo millennio. Nata a Cabras, in Sardegna nel 1972, la scrittrice ha lasciato un’impronta letteraria indelebile con romanzi – come Accabadora – e saggi – tra cui God Save the Queer e Istruzioni per diventare fascisti – che sono stati acclamati dal pubblico e dalla critica. La sua pubblicazione più recente, Tre Ciotole, una toccante riflessione sul dolore, ha scalato le classifiche, diventando uno dei libri più venduti del 2023. Se l’eredità di Michela Murgia nel campo dell’editoria e dell’attivismo è globalmente riconosciuta, il suo impatto sul settore cinematografico è certamente meno noto.
In realtà, la nota pensatrice ha fatto varie incursioni dietro e davanti alla macchina da presa e crediamo non ci sia momento migliore per ricordare il suo prezioso contributo in termini di filmografia. Nel 2006, infatti, il romanzo di esordio di Michela Murgia, Il mondo deve sapere, riscosse un successo tale da spingere il regista Paolo Virzì a trarne un film liberamente ispirato. Tutta la vita davanti, uscito nelle sale nel 2008, fu frutto di una brillante sceneggiatura a cui la stessa autrice contribuì. Una situazione simile si replicò nel 2012, quando un romanzo che affonda nelle sue radici sarde, Accabadora, ottenne un adattamento cinematografico diretto da Emanuela Rizzotto. Il film aveva come titolo L’ultima madre, richiamando la figura cardine del libro, tuttavia il progetto naufragò presto.
Più avanti, nel 2019, Michela Murgia fece un cameo in Dicktatorship – Fallo e basta!, un documentario diretto ed interpretato da Luca Ragazzi e Gustav Hofer. A coinvolgere l’autrice fu proprio la sua familiarità con la tematica principale trattata dal film, ovvero gli stereotipi grotteschi nati dal patriarcato e la derivante necessità di abbatterli. Ma l’interesse della scrittrice per l’audiovisivo non finisce qui: infatti, nel 2022, è stata protagonista di una serie documentaristica su Sky Arte, di nome Ghost Hotel. Prendendo ispirazione da un suo precedente lavoro, Michela Murgia si presenta come la portinaia di un hotel infestato dai fantasmi di importanti figure del Novecento, che si svelano al pubblico attraverso un’acuta analisi degli oggetti e dei ricordi lasciati nelle loro camere.
L’attivismo inquadratura dopo inquadratura
Ma torniamo a Tutta la vita davanti, un film che senza dubbio racchiude molte riflessioni importanti ed innovative che hanno caratterizzato il pensiero dell’autrice. Quando scrisse – prima in forma di blog e poi di romanzo – Il mondo deve sapere, Michela Murgia non era che una trentenne delusa alla ricerca di un lavoro che le permettesse di vivere dignitosamente e, soprattutto, di essere felice. Colpisce come in varie interviste, a distanza di anni e di enormi successi, abbia sempre tenuto a sottolineare che il suo obiettivo primario è sempre stato questo, ovvero la felicità, indipendentemente dal prestigio derivante da una professione. E sono proprio il fuoco generato dall’ingiustizia e il desiderio di rivendicare i propri diritti a dare vita alle parole de Il mondo deve sapere, la cui protagonista lavora in un call center in una situazione di sfruttamento e precarietà. Si ritrovano la stessa passione e, al contempo, lo stesso timore di fallire anche nella determinata protagonista del film di Paolo Virzì, che ha appunto tratto ispirazione dal libro.
La sinossi del film
Marta (Isabella Ragonese), infatti, si è appena laureata con lode in filosofia, quando si scontra con una realtà dolorosa. In attesa di un posto da ricercatrice sempre più remoto, la ragazza si mette alla ricerca di un lavoro part-time. Nel frattempo, il suo fidanzato l’abbandona, in partenza per gli Stati Uniti con una vantaggiosa borsa di studio, rappresentando un classico esempio di fuga di cervelli. Quindi, Marta inizia il suo lavoro da baby-sitter trasferendosi nell’appartamento di Sonia (Micaela Ramazzotti), una ragazza madre smarrita, e della piccola Lara (Giulia Salerno). Per arrotondare, poi, diventa telefonista in un call center, dove la sua capacità oratoria e la sua creatività le tornano utili per pubblicizzare e vendere un costoso elettrodomestico. Così, si immerge in una realtà fatta di giovani colleghe competitive e poco istruite, ragazzi che fanno i venditori alla ricerca di un po’ di autostima, reality show che offrono speranza e distrazione, capi ambiziosi dalla scarsa onestà. Tra questi ultimi, spicca Daniela (Sabrina Ferilli), un’invasata capotelefonista, che ha fatto del suo lavoro la sua vita. Anche in questo contesto, però, Marta conosce persone interessanti e trova spunti di riflessione filosofica, a dimostrazione della consolazione che la cultura può offrire.
Come già accennato, Michela Murgia ha avuto un ruolo attivo nella stesura del soggetto e della sceneggiatura di Tutta la vita davanti, che – oltre al romanzo – può contare anche sull’omonima opera teatrale come modello. Ancora una volta, l’attenzione dell’autrice per il linguaggio e la sua consapevolezza del peso delle parole si fanno evidenti nei dialoghi del film, verosimili quanto ponderati. Lo stesso titolo, inserito nel contesto della narrazione, risulta particolarmente significativo e toccante. Si tratta, appunto, di una battuta pronunciata da un’anziana signora che ha perso la nipote, vittima di una società troppo opprimente e competitiva, che l’ha spinta a sentirsi una nullità e togliersi la vita, perché non riusciva a trovare un lavoro stabile. In occasione di una particolare conversazione con la protagonista, la nonna spiega che la ragazza “aveva tutta la vita davanti”, affermazione che successivamente sarà riferita a Marta stessa. Seppur nella loro quotidianità e nella loro compostezza, queste parole urlano per chiedere giustizia: Michela Murgia documentò una situazione pericolosa che minacciava l’indipendenza e la serenità dei giovani italiani degli anni duemila, ma ancora oggi il film non si smentisce nella sua attualità.
Tre donne in difficoltà per un film femminista
L’autrice ha sempre avuto particolarmente a cuore le battaglie femministe, in un’ottica di abolizione del patriarcato e del modello maschile dominante. A queste riflessioni dedicò vari saggi, tra i quali non si può non citare Stai zitta del 2021 – un’acuta analisi di dieci espressioni che tradiscono un maschilismo diffuso – e God Save the Queer del 2022 – un tentativo ben riuscito di conciliare femminismo e religione cattolica. Anche in Tutta la via davanti, è impossibile non notare un particolare rilievo ed approfondimento dei personaggi femminili, a partire proprio dalla protagonista, con la quale Michela Murgia raccontò di condividere alcuni tratti. La scrittrice era molto consapevole della sfida rappresentata dal raccontare figure femminili complete e a tutto tondo, soprattutto quando a dirigerle sul set o a descriverle nero su bianco è un uomo. Tra i grandi autori che hanno segnato la letteratura mondiale, Michela Murgia riconosceva in particolare a Stephen King la capacità di aver saputo cogliere la complessità psicologica delle donne, riferendosi nello specifico al personaggio di Beverly Marsh nel suo capolavoro It.
Allo stesso modo, Paolo Virzì la convinse totalmente con la sua regia delicata quanto lucida, oltre a diventare suo amico. Se, infatti, l’autrice è nota per il suo talento di pesare le parole, il regista si avvale con altrettanta cura del linguaggio cinematografico. Tutta la vita davanti, infatti, presenta un sapiente mix di registri, che variano dalla commedia al dramma, dalla satira alla romanticismo. Le svariate scene ironiche alleggeriscono il ritmo del film, rendendolo un prodotto piacevole e fruibile per un ampio pubblico; allo stesso tempo, però, una volta terminata la visione, non si può che rimanere con l’amaro in bocca. Proprio la mancanza di un lieto fine assoluto sembra voler ribadire l’urgenza dei problemi affrontati durante la narrazione, consegnando agli spettatori gli spunti per una riflessione più profonda e personale, non diversamente da Il mondo deve sapere. A rincarare ulteriormente l’impatto del film, troviamo un cast d’eccezione con attori italiani del calibro di Elio Germano, Isabella Ragonese, Micaela Ramazzotti, Massimo Ghini e Sabrina Ferilli.
In questo scenario, le protagoniste di Tutta la vita davanti hanno modo di emergere nella loro completezza, dando vita a tre figure femminili non convenzionali e, al contempo, diversissime tra loro. Paolo Virzì dimostrò la sua delicatezza nella rappresentazione del femminile, proprio come ebbe occasione di fare successivamente con La pazza gioia del 2016 e La prima cosa bella del 2010. Nel film scritto insieme a Michela Murgia – Marta , Daniela e Sonia sono accomunate da poco, forse soltanto da un’apparente fragilità difficilmente distinguibile dalla loro sete di riscatto. Sicuramente, però, costituiscono i cardini della storia, sono le tre anime del film. Come già anticipato, Marta si presenta come un’eccellente laureata in filosofia senza prospettive di futuro: ad un certo punto, il mondo sembra voltarle le spalle, mentre la prospettiva di un lavoro adatto a lei si fa sempre più lontana. Non c’è la volontà moralistica di rendere la protagonista un’eroina pronta a combattere per ciò che le spetta, Marta è un personaggio assolutamente umano, in quanto tale segnato da insicurezze e da forze inaspettate. La sua personalità sboccia, quando riesce a mettere del suo nella poco stimolante professione da telefonista: le scene in cui convince i clienti grazie alla sua spigliatezza e alla sua inventiva sono tra le più memorabili.
Dal canto suo, Daniela rappresenta quasi l’opposto di Marta. Un rapporto tossico con il lavoro l’ha resa una donna inautentica e calcolatrice, che fatica a concepire una vita al di fuori del call center, l’unico ambiente in cui si sente potente. Bisogna rendere merito a Sabrina Ferilli di un’interpretazione particolarmente brillante del personaggio, capace di celare magistralmente il suo lato più sensibile. Infine, Sonia completa l’immaginario femminile di Tutta la vita davanti, anche lei si sente travolta da una società che sembra volerla ai margini. Infatti, si tratta di una giovanissima mamma che, nonostante gli sforzi, fatica a trovare il suo spirito materno. Le persone che la circondano le rimproverano i suoi costumi libertini e la sua irresponsabilità, ma in fondo è proprio questa vocazione alla libertà a costituire la sua essenza. Inoltre, nel film di Paolo Virzì, anche alcuni personaggi maschili risentono degli schemi insani e competitivi imposti dal patriarcato, quasi a sottolineare l’esigenza universale di lottare per una società migliore. Ne sono un perfetto esempio i ragazzi che si occupano delle vendite a domicilio, immersi in un clima di bullismo e di superficialità, così come i sindacalisti perennemente in condizioni precarie.
Una normalissima famiglia “queer”
Oltre al femminismo, una delle riflessioni più celebri di Michela Murgia è proprio quella che ridefinisce il concetto di famiglia, in modo molto innovativo ed inclusivo. In varie occasioni, l’autrice ha parlato di famiglia “queer”, per indicare un nucleo di persone che si scelgono reciprocamente, non dovutamente unite da un legame di sangue o da una relazione sentimentale. In quest’ottica, amava descrivere i suoi figli come “figli dell’anima”, scegliendo la poetica definizione lanciata nel suo romanzo Accabadora. Non diversamente, Tutta la vita davanti rispecchia questo pensiero antropologico incentrato sul libero arbitrio e sulla scelta, dove la famiglia non è un dato imposto dalla natura. Nel film, la dinamica che si crea tra Marta, Sonia e la piccola Lara incarna molto bene il concetto: da quando la protagonista inizia il suo lavoro da baby-sitter, le tre vivono sotto lo stesso tetto e sviluppano dei nessi profondi. Ad esempio, Marta si diverte a raccontare alla bambina gli scritti dei grandi filosofi al posto delle fiabe, fornendole sostanzialmente una nuova chiave di lettura del mondo.
Anche a confronto con una filmografia più recente, Tutta la vita davanti si dimostra effettivamente innovativo nella rappresentazione sul grande schermo di una famiglia oltre gli schemi tradizionali. Infatti, la tendenza generale degli ultimi anni sembra voler normalizzare svariate situazioni con il politicamente corretto, talvolta smarrendo la magia che anima i rapporti tra i personaggi. Questo rischio è particolarmente presente in numerose produzioni recenti destinate al mainstream: è ancora fresco il dibattito generato da Il filo invisibile di Marco Puccioni, un film Netflix incentrato su una famiglia omogenitoriale. Sotto vari punti di vista, invece, l’autenticità di Tutta la vita davanti può ricordare alcuni lungometraggi di Ferzan Ӧzpetek, noto per la sua capacità di raccontare in modo spontaneo e gioioso la comunità queer. Se si pensa, ad esempio, al suo film del 2001 Le fate ignoranti, è chiaro come la comunità di amici ed amanti, che nella trama si ritrova puntualmente sulle terrazze romane, non si discosti molto dalla definizione innovativa di famiglia fornita da Michela Murgia. Inoltre, ricorre un topos cinematografico utilizzato da Paolo Virzì nel commovente finale di Tutta la vita davanti: anche Ferzan Ӧzpetek, infatti, è incline a scegliere la tavola come luogo prediletto dove far scaturire storie, legami, amicizie, famiglie.
Il film ispirato da Il mondo deve sapere riscosse un buon successo da parte del pubblico e della critica, vincendo alcuni prestigiosi Nastri d’argento e ottenendo varie candidature ai David di Donatello. Tuttavia, forse, ciò che il film lascia di più importante è proprio la sua eredità intellettuale, una piccola parte del ricco retaggio di Michela Murgia. Oggi, Paolo Virzì ricorda l’autrice e il lavoro svolto insieme con grande stima e commozione, definendola durante i suoi funerali semplicemente “una voce formidabile”. Fondamentalmente, Tutta la vita davanti racconta una storia di resilienza non esclusivamente rivolta ad un pubblico giovanile o, meglio, a un pubblico di neo-laureati in filosofia senza speranze. La capacità di resistere – da un punto di vista fisico, psicologico o sociale – si distribuisce in modo democratico e trasversale, spesso si riscontra proprio in chi non ha più tutta la vita davanti. Probabilmente, è questo l’ultimo grande insegnamento di Michela Murgia, a dimostrazione di quanto, nello scenario odierno, avremmo ancora avuto bisogno delle sue riflessioni e di quanto la sua figura mancherà.
di Chiara Zoja