La storia di Erik Tognan, agricoltore quasi per caso
Forse è vero che “per caso non succede mai niente”. La storia di Erik Tognan è davvero emblematica di questa filosofia di vita: operaio alla Cogne, poi autista e, nel mentre, l’hobby dell’agricoltura. Mai avrebbe pensato che, una decina di anni dopo, i prodotti della terra sarebbero stati la sua unica occupazione.
Ottimizzare la complicazione
Tutto nasce circa vent’anni fa, quando Erik ha deciso di recuperare alcuni terreni di famiglia nella zona collinare-montuosa di Gressan: “Sono partito a fare lavori su un lotto di più o meno due ettari di superficie, poi gradualmente ho proseguito con altri pezzi un po’ alla volta. Ho recuperato dei terreni incolti, erano praticamente diventati dei boschi. Ho cercato di razionalizzare gli impianti, di ottimizzare la complicazione – come mi piace dire – per rendere tutto il più possibile meccanizzabile. Arrivo fino a 1100 metri e pendenze del 45%, se non del 60%: mi complica un po’ la vita, anche perché la sede della mia azienda agricola è qui, a Pollein”. Un totale di sei ettari, da raggiungere facendo 10 km di strada: non proprio comodo, soprattutto quando bisogna muoversi coi trattori.
“Non avevo l’ambizione di fare l’agricoltore”
Eppure, l’idea iniziale era di coltivare patate, mele e noci a tempo perso. “Mi dispiaceva avere questi appezzamenti e lasciarli lì, abbandonati. È come avere una casa da ristrutturare: volevo solo recuperarli, senza averne per forza un reddito. Poi da cosa nasce cosa e ti lasci prendere. Non è che lo faccio controvoglia, anzi, ma non avevo l’ambizione di fare l’agricoltore. È nato un po’ tutto per caso, ma per caso non succede mai niente”. Erik affiancava l’agricoltura al suo lavoro “vero”, ritagliandosi degli spazi di tempo per occuparsi delle sue coltivazioni. Poi, gradualmente, il lavoro salariato ha lasciato spazio a quello agricolo, non senza sforzi e sacrifici: “Non nego di aver preso dei contributi: non è un privilegio personale ma una questione di requisiti. E non nego che siano degli aiuti, ma bisogna comunque metterci dell’impegno e, soprattutto, dei fondi propri. Per parecchi anni ho investito quello che guadagnavo dal mio lavoro senza averne nessun ritorno”.
E, in più, sempre con un’incognita che non abbandona mai chi fa questo mestiere. Come spiega Tognan, “ho imparato che in agricoltura uno più uno non fa mai due. Se ti va bene, fa 1,5, ma può anche avvicinarsi a zero, in annate negative. È un rischio che fa parte del gioco. Per quello si tende a diversificare il più possibile: mele, patate e noci sono coltivazioni simili ma diverse, è difficile che io possa risentire delle avversità climatiche su tutte e tre”.
Una produzione che “ascolta” i terreni
Proprio queste variabili spingono Erik Tognan a ricalibrare ogni anno la sua produzione. Se le noci e le patate vengono vendute così come sono, sulle mele ci sono sempre tanti ragionamenti da fare.
“In genere, circa il 50% della produzione lo trasformo in succo, il resto lo vendo non trasformato, oppure ne faccio mele essiccate, aceto e sidro. Produco quello che la superficie che ho a disposizione mi dà: se ho tante mele come l’anno scorso mi posso sbizzarrire, altrimenti devo fare delle scelte, dando la priorità al succo”.
Per il sidro, a fine novembre si fa la spremitura, poi si lascia fermentare il tutto in botte, si imbottiglia e si lascia finire di fermentare. Le bottiglie da 75 cl restano ferme per almeno sei mesi, poi si fa un remuage, la ghiacciatura del collo della bottiglia e poi si mette il tappo di sughero. Quest’anno, un piccolo lotto è stato messo in bottiglie da 50 cl con il tappo da birra, come esperimento. Così come un esperimento – finito nel dimenticatoio – è stato l’aceto barricato. L’aceto normale viene fatto nell’acetificatore, in modo da far lavorare i batteri in maniera ottimale, con una maturazione di almeno un anno: non viene fatto con una singola varietà, ma è un assemblaggio.
Il punto forte è, però, il succo: “Nella fase di selezione per la spremitura, vedo tutte le mele: quelle che non mangerei non le metto neanche nel succo. Faccio il succo di sola renetta o misto, in vari formati, lasciandolo torbido”. Erik è appassionato ed esperto, e racconta nei dettagli tutto il processo di produzione: ama e sa quello che fa, perché altrimenti non si sarebbe “convertito” al mondo dell’agricoltura.
Dietro c’è una filosofia della naturalità e del biologico, certificato sui tre prodotti non trasformati: “È un ciclo continuo: piantare, potare, fare i trattamenti, raccogliere, trasformare. Se uno apprezza il sapore capisce la differenza e la qualità, anche se so che il consumatore medio guarda prima di tutto al prezzo. Però è un po’ come per il vino: soprattutto in montagna, cambiando zone di coltivazione cambiano completamente anche le caratteristiche del prodotto, ogni singolo angolo di terra dà un prodotto diverso”.
Bisogna essere sempre presenti, perché se vedi l’avversità è troppo tardi e non puoi più recuperare: “Gli alberi vanno curati, sono degli essere viventi: è come per gli animali, se te ne prendi cura, se gli dai qualcosa loro lo sentono e, in qualche modo, te lo restituiscono”.