Unire le forze e diversificare: il segreto dell’agriturismo Au jardin fleury
Decidere di aprire un agriturismo spesso è una scelta che rivoluziona la vita di chi la fa, ma a volte è la “naturale” prosecuzione di un percorso che dura da anni. Si può dire che quello di Valter Artaz rappresenti proprio questo: degli appartamenti in affitto, due edifici da ristrutturare, un’azienda agricola ed una moglie con la passione per la cucina sono gli ingredienti che hanno dato vita a Au jardin fleury ad Antey.
Artaz è geometra ed amministra condomini, ma ha sempre dato una mano nell’azienda agricola dello zio e, dal 1994, ha gestito degli alloggi da affittare. Nel frattempo si sposa e ristruttura degli edifici e, dal 2005, mette a disposizione dei clienti delle sue stanze un servizio di mezza pensione con i prodotti della terra: “A mia moglie piaceva cucinare, così ci è venuta questa idea. Io avevo fatto il corso per la gestione di un agriturismo addirittura nel 1988”, racconta il protagonista di questa storia di “Le aziende di Coldiretti”. “Ho sempre ritenuto che legare il turismo e l’agricoltura sia una formula vincente”.
Lui definisce Au jardin fleury come una cooperativa, in cui lavora tutta la famiglia, dallo zio alla madre, dalla moglie ai figli. Con le mucche della stalla si producono carni e salumi, mentre il loro latte viene venduto alla cooperativa per ricavarne formaggi e burro. Poi c’è la vigna, che dà circa 1000 litri di Gamay all’anno, gli orti, le patate, il frutteto, le galline: “Il nostro menù è tutto improntato sulla tradizione e la naturalezza dei nostri prodotti: affettati, reblec, polenta con la carbonada, crespelle, gnocchi alla valdostana, zuppe, insalate, arrosti, génépy”.
Difficile, per lui, fare altrimenti: “Ci siamo resi conto che di sola azienda agricola non si può vivere – il prezzo del latte, per dire, è fermo a 25 anni fa – né viceversa di soli alloggi. Negli anni abbiamo capito che era necessario diversificare i lavori per poter sopravvivere. Con anche il lavoro di ufficio, le mie giornate sono belle piene. Mi è sempre piaciuta l’idea di dare ospitalità, ho preso i treni giusti quando c’erano ancora dei contributi fondamentali ed ho ristrutturato quello che ho potuto”.
Ed il turismo di Antey – “sebbene non sia più quello di 30 anni fa, quando c’erano 17 alberghi” – sembra resistere, data anche la sua posizione strategica: “Funziona molto con seconde case ed appartamenti, soprattutto per famiglie o anziani. Siamo a 1100 metri, il clima è ideale perché è secco e non fa né troppo caldo né troppo freddo, c’era stato addirittura uno studio della Sorbonne che sottolineava come fosse il clima migliore della nostra regione per i malati di cuore. Siamo anche vicini a Torgnon e Cervinia, anche se mancano un po’ gli stranieri. Però bisogna investire nel turismo, se ci ritrovassimo senza ho sempre detto ai miei figli che sono liberi di fare la valigia ed andare via”.
Il coronavirus ha ovviamente un po’ frenato questo trend, ma c’è ottimismo: “Qualche prenotazione inizia ad arrivare. Però se quest’estate non dovesse andare come le altre non abbiamo paura, siamo una realtà solida e possiamo permetterci un eventuale piccolo rallentamento”.