Buon compleanno Hubble Space Telescope!
Il 24 aprile 1990 partiva dal Kennedy Space Center, in Florida, negli Stati Uniti, lo Space Shuttle Discovery. Al sicuro nel vano di carico si trovava un contenuto assai particolare: il telescopio spaziale Hubble, in inglese Hubble Space Telescope (HST). Gli astronauti l’avrebbero posizionato in orbita, a circa 600 km di altezza, il giorno dopo, 25 aprile.
Sono quindi trent’anni che HST scruta l’universo dalla sua posizione privilegiata.
Ottiene immagini più nitide e misure più precise della maggior parte dei telescopi terrestri non perché sia più vicino alle stelle (600 km di quota sono nulla rispetto immense distanze cosmiche), né perché con i suoi 2,4 m di diametro abbia un’apertura particolarmente ampia (ci sono telescopi terrestri quattro volte più grandi). Il suo segreto è un altro: trovandosi sopra la maggior parte dell’atmosfera terrestre, non risente del disturbo dovuto alla turbolenza atmosferica, che confonde la visione degli astri che abbiamo dalla superficie del nostro pianeta.
Con HST sono state realizzate scoperte e compiuti studi fondamentali per la nostra comprensione dell’universo. C’è chi non esita a definirlo il telescopio più importante della storia dopo il cannocchiale di Galileo Galilei. È intitolato all’astronomo statunitense Edwin Hubble, uno dei padri della moderna cosmologia osservativa, negli anni ’20 del XX secolo. Proprio a quell’epoca risale
l’intuizione dei vantaggi che avrebbe avuto un telescopio nello spazio. Si trattava solo di speculazioni teoriche, perché allora nessuno sapeva come lanciare un razzo.
Dobbiamo attendere gli anni ’70 perché le agenzie spaziali NASA, statunitense, e ESA, europea, dessero avvio a una collaborazione per lo sviluppo di HST. Tra i promotori spiccò l’astronoma statunitense Nancy Roman, che si assunse gran parte dell’onere di organizzare i lavori tra le due sponde dell’Oceano Atlantico, quando il telefax era il massimo della tecnologia per le telecomunicazioni intercontinentali. Fu così abile nel proprio lavoro da passare alla storia come “la madre di Hubble Space Telescope”.
Molte delle immagini scattate da HST sono diventate vere e proprie icone dell’astronomia, conosciute anche da chi non si interessa di stelle e spazio. Hanno ispirato artisti, affascinato gli appassionati, avvicinato alla scienza del cielo i più giovani. Eppure, trent’anni fa, l’avventura di HST cominciò con il piede sbagliato. Le prime immagini, ottenute nelle settimane immediatamente successive alla messa in orbita, erano di qualità drasticamente inferiore rispetto a quella attesa. Hubble non riusciva a mettere a fuoco!
Le analisi rivelarono che la causa del problema risiedeva nello specchio primario, che era stato levigato in maniera errata. Sebbene si trattasse di uno sbaglio dell’ordine del milionesimo di metro, era comunque sufficiente a impedire il corretto funzionamento dello strumento. Si trattava di una notizia drammatica per gli scienziati. Dopo decenni di lavoro, l’ambizioso progetto rischiava di diventare il Titanic dell’astronomia.
Dopo lo shock iniziale, gli studiosi si misero subito in azione per trovare una soluzione. Un fondamentale contributo venne dall’astrofisico italiano, divenuto cittadino statunitense, Riccardo Giacconi, che era stato nominato nel 1981 direttore del Space Telescope Science Institute, a Baltimora, Maryland, Stati Uniti. Giacconi organizzò una task force per capire come intervenire.
Certo non si poteva portare Hubble in officina come un’automobile, ma si potevano mandare da lassù i meccanici del soccorso stradale – anzi, spaziale.
Infatti HST era stato progettato in modo da poter subire manutenzioni grazie all’intervento di astronauti in orbita con gli Space Shuttle. La prima “servicing mission”, missione di servizio, era prevista per il 1993. Analizzando le immagini sfocate, gli scienziati compresero che lo sbaglio nella levigatura dello specchio primario era regolare: era stata fatta secondo le specifiche, ma nel verso
errato. Benché fonte di imbarazzo (e non solo) per l’azienda incaricata del lavoro, si trattava di una buona notizia, perché era possibile correggere l’errore, mettendo letteralmente gli… occhiali al telescopio spaziale.
Furono proposte diverse combinazioni di lenti, specchi, prismi. Una volta individuata la configurazione ottimale, la sfida successiva fu capire come montare un sistema così delicato.
L’illuminazione venne all’ingegnere James Crocker, mentre si trovava in Germania per un incontro dell’ESA su Hubble. Mentre era nella stanza d’albergo, la sua attenzione fu attratta dal diffusore della doccia, che poteva essere spostato in alto e in basso lungo una slitta. Trent’anni fa, questo modello non era ancora molto usato negli Stati Uniti. Crocker pensò che una slitta analoga,
ingegnerizzata con bracci robotici e motori elettrici, avrebbe potuto posizionare con la precisione necessaria le ottiche correttive all’interno del tubo del telescopio spaziale. Nonostante la bizzarra genesi della proposta, colleghe e colleghi furono entusiasti: i calcoli suggerivano che avrebbe funzionato!
In meno di tre anni, venne costruito COSTAR, acronimo di Corrective Optics Space Telescope Axial Replacement, in tempo per la prima missione di servizio. La delicata operazione venne affidata all’equipaggio dello Space Shuttle Endeavour, nel dicembre del 1993. In una complessa serie di cinque attività extraveicolari in una settimana, per un totale di oltre 35 ore di lavoro nello spazio,
gli astronauti installarono COSTAR e altri strumenti aggiornati. La missione fu un pieno successo e HST divenne lo strumento eccezionale che tutti conosciamo.
Sarebbero seguite altre missioni di servizio, per riparazioni più ordinarie, fino al 2009, quando si svolse la quinta e ultima servicing mission. Gli astronauti dello Space Shuttle Atlantis montarono strumenti di nuova generazione con le correzioni ottiche già integrate. COSTAR fu quindi riportato sulla Terra e oggi appartiene alla collezione dello Smithsonian National Air and Space Museum a Washington DC, negli Stati Uniti.
Dal 2011, con la chiusura definitiva del programma Space Shuttle della NASA, non esiste più la possibilità di raggiungere Hubble in orbita. Il telescopio spaziale è tuttora operativo e si stima che potrebbe funzionare almeno per un decennio, probabilmente due.
Al di là degli impressionanti risultati ottenuti in un trentennio di attività, troppi per essere elencati, le sue iniziali vicissitudini assumono un grande valore alla luce dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Trent’anni fa la situazione era disperata (scientificamente parlando, s’intende), ma il confronto aperto tra esperti, il coordinamento delle ricerche, l’utilizzo efficace dei mezzi tecnologici e la cooperazione internazionale hanno permesso di trasformare un completo disastro in un successo senza precedenti: un esempio di ripartenza e di capacità di reazione cui guardare con fiducia e speranza in questo periodo difficile.
Tra le miriadi di link presenti sul web per festeggiare insieme i 30 anni di Hubble Space Telescope, segnaliamo:
– Dove sta puntando HST adesso? L’immagine da catalogo stellare dell’oggetto celeste sotto osservazione in questo momento (http://spacetelescopelive.org)
– Quale immagine ha ripreso HST nel giorno del nostro compleanno? (https://www.nasa.gov/content/goddard/what-did-hubble-see-on-your-birthday)
– Fate una torta di compleanno per Hubble e condividetela su Facebook, Twitter, Instagram con gli hashtag #Hubble30BDayCake e #Hubble30 (https://spacetelescope.org/announcements/ann2005/)