Antimafia: “no” del Consiglio di Stato alla decadenza dell’interdittiva Tramoter
L’assoluzione, da parte del Tribunale di Aosta nel gennaio 2017, di Vincenzo Furfaro e sua figlia Rossella dall’accusa di associazione finalizzata al traffico illecito e organizzato di rifiuti speciali e non pericolosi, non è elemento sufficiente a far decadere l’interdittiva antimafia spiccata nell’ottobre 2015 dal Questore di Aosta (e reiterata nel maggio di due anni fa) nei confronti della “Tramoter” di Saint-Christophe, seconda società in Valle ad essere stata colpita da un provvedimento del genere.
È la conclusione cui giungono – nella sentenza pubblicata oggi, giovedì 4 luglio, dopo la camera di consiglio dello scorso 24 gennaio – i giudici della terza sezione del Consiglio di Stato, respingendo l’appello presentato, per l‘azienda, dagli avvocati Pasquale Siciliano e Antonio Cimino. Ad essere impugnata era stata la sentenza con cui il Tar della Valle d’Aosta, nel febbraio 2018, aveva negato la revisione sollecitata dalla “Tramoter” dell’interdizione, a seguito del verdetto penale.
I magistrati osservano che il provvedimento oggetto del ricorso “non si limita a prendere in considerazione la sentenza di assoluzione”, ma “rimarca i precedenti giudiziari ascritti al padre” della donna. Proprio quei trascorsi, assieme ad elementi emersi dall’indagine “Tempus Venit” dei Carabinieri, avevano condotto all’emissione dell’interdittiva (appellata al Tar già nel giugno 2016, con opposizione rigettata): Rossella era legale rappresentante della ditta impegnata nel movimento terra, ma la gestione “di fatto” era stata ricondotta al genitore.
Per il Consiglio di Stato, il cadere delle accuse dinanzi al collegio giudicante aostano non rappresenta un dato “tale da far superare il quadro delineato” a carico di Vincenzo Furfaro, rappresentato da una condanna definitiva, nel 1986, per associazione per delinquere, nonché dall’applicazione nel 1990 della sorveglianza speciale per due anni, “senza che sia intervenuta riabilitazione”. Un quadro dalla “perdurante pericolosità” ribadita, peraltro, da un parere del 2017 del Gruppo interforze (“tavolo” che riunisce le forze dell’ordine, nella valutazione di misure di prevenzione del genere).
I giudici osservano, al riguardo, che la valutazione di “sopravvenuta impermeabilità mafiosa” deve fondarsi, qualora venga richiesta la revisione di un provvedimento interdittivo, “su fatti nuovi, che dimostrino la recisione di legami, rapporti, amicizie o cointeressenze con soggetti organici o contigui alle associazioni mafiose”, oltre ad “una comprovata ‘presa di distanza’ da contesti criminali”. Tuttavia, nel caso specifico, “nulla di tutto ciò può ritenersi avvenuto” per “effetto della sola sentenza di assoluzione” del Tribunale di Aosta.
Il Ministero dell’Interno e la Questura di Aosta si erano costituiti in giudizio. La sentenza pone anche a carico della parte appellante spese del grado di giudizio per 5mila euro, rilevando come il ricorso di primo grado risultasse “irricevibile per tardività della notifica all’Avvocatura dello Stato”, da cui l’infondatezza dell’azione di impugnazione, sin dall’inizio. Insomma, per il Consiglio di Stato non solo il diniego della revisione dell’interdittiva, da parte della Questura di Aosta, era legittimo, ma non avrebbe dovuto nemmeno essere discusso al Tar, per il ritardo con cui è stata innescata l’azione di opposizione.