Bancarotta dei discount: i Cannatà optano per riti alternativi

24 Ottobre 2019

È stata caratterizzata dalla scelta dei riti l’udienza preliminare del procedimento a carico di tre imprenditori del settore discount, tenutasi ieri, mercoledì 23 ottobre. Tutti accusati di bancarotta fraudolenta, Francesco Cannatà (75 anni, assistito dall’avvocato Stefano Marchesini) e il figlio Vasco (46, con Stefano Moniotto e Davide Rossi come legali) sono stati ammessi dal Gup Davide Paladino al rito abbreviato (semplice nel primo caso e condizionato all’esame dell’imputato nel secondo), mentre il secondogenito Milo (42, difeso dall’avvocato Jacques Fosson) ha chiesto il patteggiamento, su cui il giudice si è riservato il consenso.

La prossima udienza, che vedrà la discussione dei due abbreviati, è stata fissata per il 23 gennaio dell’anno prossimo. Ai tre risultavano riconducibili cinque società alimentari, attive nella gestione di supermercati “discount” con sede a Sarre, Saint-Christophe e Saint-Martin. Le indagini, coordinate dal pm Luca Ceccanti, erano iniziate a seguito di una serie di verifiche fiscali condotte dal Gruppo Aosta della Guardia di finanza, sulle annualità 2012 e 2013 del gruppo. Secondo gli inquirenti, per “mascherare” il dissesto economico di due delle aziende, gli imputati non avrebbero fatto altro che spostare le risorse finanziarie disponibili da una società di famiglia all’altra.

Così facendo, per le Fiamme Gialle, oltre ad agire “in totale spregio dell’autonomia gestionale e amministrativa”, la maggior parte dei debiti sarebbe rimasta in capo alle società dissestate, tanto da condurle al fallimento (nell’agosto del 2016 e del 2018). Le rispettive procedure fallimentari, rappresentate dai relativi Curatori, si sono costituite parte civile, a tutela dei creditori, nel procedimento avviato ieri al Tribunale di Aosta. I tre imprenditori oggi alla sbarra erano stati arrestati l’8 agosto 2018 e le misure a loro carico erano state successivamente revocate.

Sulla base degli accertamenti condotti, gli inquirenti sostengono che almeno 2 milioni e 200mila euro siano passati dalle fallite ad altre società, oltre a fondi trasferiti sui conti degli amministratori e a somme utilizzate per scopi personali, attraverso l’uso delle carte di credito aziendali. Per le Fiamme gialle, con operazioni “non giustificate”, gli imputati avrebbero proceduto ad acquisti di “capi di abbigliamento, smartphone, biglietti aerei, gioielli” ed anche al “download di software e brani musicali” da store online e pure al “pagamento di cure odontoiatriche”. Nel prosieguo delle verifiche fiscali, anche le altre tre società del gruppo risultano essere fallite.

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