Casinò, la sentenza: danno erariale solo in un finanziamento
Com’è arrivata la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti alla decisione di condannare diciotto dei ventun consiglieri regionali, in carica ed ex, originariamente coinvolti nel giudizio contabile sui finanziamenti al Casinò, assolvendone tre? Come è stato stabilito l’importo del maxi-risarcimento alla Regione di 30 milioni di euro? Le risposte sono nelle trentanove pagine della sentenza dei giudici Pio Silvestri, Alessandra Olessina e Paolo Cominelli, che ha preso forma attraverso le camere di consiglio dell’11 luglio e 12 settembre scorsi.
La natura della responsabilità
La Procura regionale, allora guidata da Roberto Rizzi, contestava un presunto danno erariale di 140 milioni di euro, frutto di quattro deliberazioni di finanziamento della Casa da gioco, adottate da Giunta e Consiglio regionali, tra il 2012 e il 2015. Quelle operazioni, per l’accusa, erano frutto sia di una errata valutazione dei “problemi finanziari della società e della valenza di piani di sviluppo rivelatesi inattendibili”, ma anche della violazione, “configurata come dolosa (intenzionale, ndr.) e solo in subordine gravemente colposa, di un complesso di norme di rango nazionale e regionale”.
I giudici, tuttavia, giungono a conclusioni “parzialmente difformi” dal Procuratore, ritenendo che non siano emersi elementi sufficienti per attribuire significato doloso alle “decisioni assunte dagli amministratori regionali”, aspetto sul quale potrà “eventualmente fare maggiore luce” il quasi parallelo processo penale. A carico dei coinvolti nell’inchiesta contabile resta, però, “il profilo della colpa grave, connesso ad una valutazione di contesto che si è rivelata manifestamente errata sia nei presupposti, che nelle scelte che ne sono derivate”.
In sostanza, gli amministratori e lo stesso dirigente del bilancio hanno agito “in contrasto con i principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione pubblica”, con decisioni “che si sono risolte in un danno erariale”, per aver “colposamente trascurato tutti gli indicatori e i segnali di irreversibile crisi che provenivano dalle analisi svolte sulla situazione economica” della Casinò de la Vallée. Rilevante, al riguardo, “appare la mancata rilevazione dell’appostazione in bilancio delle imposte anticipate”.
Perché danno erariale?
Detto del sussistere di un danno, la valutazione dei giudici sulla sua natura è lapidaria. La situazione economica del Casinò – come attestato da “analisi conosciute dai vertici regionali” e “come risulta dalle indagini della Guardia di finanza” (sviluppate dal Nucleo di polizia economico-finanziaria, comandato dal tenente colonnello Piergiuseppe Cananzi) – era “gravemente, se non definitivamente compromessa”, tanto da rendere inutile “ogni tentativo di salvataggio attraverso iniezioni finanziarie”.
I vari interventi deliberati “non hanno sortito alcuno effetto”, gravando “al contrario sul bilancio regionale e su quello delle partecipate Finaosta e CVA”, dalle quali piazza Deffeyes ha attinto per le operazioni. Peraltro, “sul Casinò continua a perdurare una gravissima crisi finanziaria che ne mette a rischio la sopravvivenza come realtà imprenditoriale” e “si può affermare quindi che la sostanziosa provvista finanziaria non abbia prodotto risultati tangibili”, rappresentando pertanto “una erogazione priva di effetti pratici e quindi da qualificare come danno erariale”.
L’ammontare del rimborso
Nel procedere alla quantificazione, i tre magistrati contabili partono dal fatto che “non vi è prova che la società del Casinò non sia in grado di restituire i finanziamenti ricevuti sotto forma di mutui”. Pertanto, si legge nella sentenza, “la Procura non è riuscita a dare prova convincente che il sistema di rotazione dei finanziamenti erogati attraverso” dei prestiti “si risolva in un danno erariale”.
Certo, “le reiterate operazioni di accensione dei mutui, sostanzialmente l’una a copertura dell’altra, rimangono da censurare in punto di trasparenza contabile” (e “particolare attenzione dovranno porre gli organi di controllo della Regione alla puntuale restituzione delle rate”), ma il presupposto iniziale fa sì che tre delle deliberazioni contestate (quella da 50 milioni di euro del luglio 2012, quella da 10 del settembre 2013 e quella da 20 del dicembre 2015) non integrino ipotesi dannose.
Resta il provvedimento, dell’ottobre 2014, con cui il Consiglio Valle ha operato una ricapitalizzazione della “Casinò de la Vallée” da 60 milioni di euro. Di questi, 30 erano destinati al parziale rimborso del finanziamento 2012. Per i giudici, visti i ragionamenti già sviluppati sui prestiti, il danno erariale che i consiglieri regionali (di oggi e ieri) debbono risarcire alla Regione è, quindi, nel residuo: i 30 milioni dell’aumento di capitale.
La ripartizione della somma
I magistrati contabili hanno scelto il criterio del livello “di coinvolgimento dei diversi amministratori nella delibera”, in ragione “delle loro competenze funzionali e del grado di piena consapevolezza dei fatti”. “Un maggior grado di responsabilità”, pari al 15% del totale, viene quindi addebitato al Presidente della Giunta e agli Assessori al bilancio (Augusto Rollandin, Mauro Baccega ed Ego Perron), che “in ragione delle funzioni svolte a più riprese durante il quadriennio preso in considerazione dalla Procura, avevano, più degli altri, contezza della situazione finanziaria del Casinò”.
“Solo di poco attenuata” (pari cioè al 10% del rimborso complessivo) è stata considerata la posizione di Marco Viérin e Aurelio Marguerettaz, rispettivamente presidente del Consiglio al momento dell’aumento di capitale e componente dell’Assemblea regionale sin dal 2012, “entrambi consapevoli delle difficoltà economiche del Casinò e del sostanziale fallimento delle precedenti operazioni di finanziamento”. La restante quota di danno è stata suddivisa in parti uguali tra i tredici votanti della delibera consiliare di ricapitalizzazione.
Le assoluzioni
Per Albert Lanièce, Raimondo Davide Donzel ed Ennio Pastoret, avendo espresso voto favorevole “agli altri atti di finanziamento attraverso la formula dell’accensione del mutuo”, e non al provvedimento contestato, è scattata l’assoluzione per “mancanza dell’elemento del danno erariale”. Il dirigente Peter Bieler, invece, era stato evocato in giudizio dalla Procura solo per il parere espresso sugli atti relativi ai mutui e quindi, malgrado avesse espresso la legittimità anche sulla delibera dell’aumento di capitale, è stato assolto.