Denaro allo psichiatra arrestato per i certificati falsi: condannati due pazienti
Mentre prosegue il processo a carico dello psichiatra aostano Marco Bonetti, è giunto stamattina a conclusione, al Tribunale di Aosta, un procedimento nato dalle indagini svolte della Guardia di Finanza sul professionista aostano. Due suoi pazienti, un cinquantenne e un cinquantatreenne residenti nella regione, denunciati dalle “Fiamme gialle” per concorso con il medico in falsità ideologica e corruzione, sono infatti stati condannati ciascuno a due anni e dieci mesi di reclusione.
Si trattava, all’epoca dei fatti, di due appartenenti al corpo della Polizia penitenziaria e il collegio giudicante (presidente Massimo Scuffi e giudici a latere Anna Bonfilio e Marco Tornatore) ha altresì dichiarato “estinto” il rapporto di lavoro di entrambi con il Ministero della giustizia, pronunciandosi inoltre per l’interdizione di ognuno dai pubblici uffici, per una durata di cinque anni.
I certificati “addomesticati”
Filmando ed intercettando Bonetti, ex “numero 2” del reparto di psichiatria dell’Unità Sanitaria Locale (andato in pensione poco prima di finire ai domiciliari, nel marzo 2017), i finanzieri avevano notato – oltre ad episodi valsi al medico accuse di violenza sessuale, peculato e cessione di stupefacenti – vari casi classificati quale “addomesticamento” di certificati rilasciati a fronte della consegna di somme di denaro, due dei quali definiti appunto oggi, giovedì 11 gennaio, mentre altri rientrano nel processo “principale”, in via di svolgimento con rito abbreviato.
In particolare, secondo gli inquirenti, nel dicembre 2016 il cinquantenne aveva ottenuto, dando 50 euro al medico, una falsa attestazione di “ricaduta nello stato depressivo”, grazie alla quale era scattato il riconoscimento di quarantacinque giorni di malattia, in aggiunta ai “già ottenuti precedenti centosessantacinque”. Nella prospettazione accusatoria, all’altro imputato, il cinquantatreenne, dietro versamento dell’identico importo, era stato invece diagnosticato, nel novembre 2016, un “disturbo depressivo ansioso progressivo”, accompagnato dalla richiesta di “uno stato di malattia per tre mesi”.
Il pm Ceccanti: “fatti pacifici”
Fatti che, sollecitando la condanna di ognuno a due anni e nove mesi di carcere, il pubblico ministero Luca Ceccanti ha definito “pacifici nelle visite di entrambi, per le conversazioni intercettate e trascritte e perché si vede” il passaggio “della banconota”. “Non capisco – ha aggiunto il rappresentante dell’accusa – come si possa pensare anzitutto che sia stata fatta una visita psichiatrica seria, poi come possa essere veritiero lo stato di grave depressione” diagnosticato dal professionista ai due.
Per Ceccanti, “il tono e il contenuto delle intercettazioni è, da un canto, quello di chi chiede un favore” ed è eloquente che, dall’altra parte, “Bonetti fa una battuta, dicendo ad un paziente: ‘non si faccia vedere troppo contento’”. “Faccio fatica – è andato oltre il pubblico ministero – a trovare elementi che mi dicano, nella storia clinica dei pazienti e nelle visite intercettate, che Bonetti fosse davanti a soggetti depressi”. Infine, riguardo all’entità dei pagamenti dei due, “ferma restando l’entità minima della retribuzione, credo non si possa revocare il dubbio della corruzione. Non c’è attività lecita da parte di Bonetti. Le prerogative pubblicistiche vengono tradite per un tozzo di pane”.
La difesa: “una ricostruzione spaventosa”
Il difensore dei due pazienti, l’avvocato Laura Morozzo, si è detta anzitutto “spaventata dalla ricostruzione” della Procura. “Non si dica che nelle intercettazioni c’è la prova. Non emerge in nessuna trascrizione che i due abbiano chiesto al medico di fare il certificato. – ha tuonato – L’evidenza probatoria è minima. Se basta così poco per una richiesta di condanna, oggi sono imputati i miei due clienti, ma domani potrebbe toccare a chiunque”.
Nel merito delle accuse, il legale ha insistito sui trascorsi clinici degli assistiti, nei quali “checché ne dica la Procura” già figuravano “diagnosi di depressione”. In un caso, ha spiegato l’avvocato, sin “dal 2001 si attestano ricovero e cure con farmaci specifici” e poi, nel 2012, il comandante della Polizia penitenziaria “decide di togliere l’arma” al suo subalterno. Nell’altro, invece, “dopo Bonetti, altri psichiatri del Servizio sanitario nazionale”, per l’avvocato Morozzo, avevano attestato la stessa sindrome certificata dal medico poi arrestato. “Non vedo – ha chiosato il legale – come si possa continuare a dire che i certificati di Bonetti fossero falsi”.
Per tentare di smontare l’accusa di corruzione, l’avvocato ha tagliato corto: “corrompere il pubblico ufficiale non può avvenire al prezzo della prestazione medica. Davvero due agenti di Polizia penitenziaria metterebbero a rischio il loro lavoro, compiendo un reato, per 50 euro? Abbiamo due episodi in cui non solo non viene richiesto il certificato, ma uno dei due pazienti dice perfino: ‘dottore, veda lei’”. La tesi difensiva è che “il medico li trae in inganno. Loro lo chiamano, lui gli fissa un appuntamento, che ne sanno loro che lui non ha più l’autorizzazione a lavorare in intramoenia? La corruzione è un versamento da 500 euro, non da 50, che sarà forse un problema fiscale, ma non corruttivo”.
Argomenti che il collegio giudicante non ha ritenuto sufficienti per accogliere la richiesta di assoluzione del legale, né ha colto l’invito estremo dell’avvocato a disporre una perizia sulla veridicità degli stati di salute attestati da Bonetti (azione di cui, invece, il Gup ha incaricato un professionista nell’altro procedimento, che vede sempre l'accusa sostenuta dal pm Luca Ceccanti, del quale la sentenza è attesa per aprile). Le indagini sull’attività di Bonetti – al quale sono anche stati sequestrati 83.665 euro, in occasione di perquisizioni tra la casa e gli ambulatori, ritenuti proprio somme non dovute dai pazienti – sono state svolte dal Gruppo Aosta della Guardia di finanza, comandato dal tenente colonnello Francesco Caracciolo.