Due condanne per la “truffa del gas”. Il pm: “una piaga del Paese”
Da quel giorno sono passati oltre due anni, ma al solo riparlarne, trattiene a stento le lacrime. “E’ stato terribile, per me. – dice – La sera ho paura. Non dormo più da sola”. Parole pronunciate oggi, giovedì 10 ottobre, da una ultraottantenne residente nella “plaine” di Aosta, testimoniando al processo in cui due dei tre giovani imputati di averla truffata (il 35enne marocchino Brahim Ounasser e il 32enne di Taurianova Tarik Lemfaddel) sono stati condannati ad un anno di carcere (ed una multa da 350 euro) ognuno.
È il 17 settembre 2017 quando alla porta della donna suona una coppia di uomini. “Mi hanno detto che venivano per installare dispositivi di sicurezza domestica per il gas”, racconta. È titubante, perché la sua stufa è esclusivamente elettrica, ma a vederli ben vestiti “facevo affidamento che fossero persone accettabili”. Però, una volta dentro, “subito mi sono accorta che potesse essere una truffa”. Peraltro, nella piccola stanza “c’era la mia borsa, dove avevo parecchi soldi, appena ritirati per diverse spese, come il riscaldamento”.
La donna in quel momento si spaventa, teme che possano farle del male: “uno dei due si è messo al telefono, in una lingua che io non conoscevo, e ho pensato che qualcuno li aspettasse”. Senza capire più molto, chiede quanto costa il rilevatore (“una rotella come dei giocattoli, ho pensato che costasse poco”) e, a fronte di una richiesta di 299 euro, obietta “e se non avessi modo di pagare?”, riferendo di aver ottenuto in risposta “è obbligatorio pagare”.
“Gli ho dato sei banconote da 50 euro. L’essenziale era togliermeli di casa”, prosegue. “Non mi hanno nemmeno proposto il resto e avevano fatto una specie di fattura”. In quel frangente, prima di andar via, uno dei due fruga nella borsa, avendo forse intuito la disponibilità di altro contante, ma non riesce a prenderlo. La donna, pochi secondi dopo, racconta tutto a una vicina e viene chiamata la Polizia.
“Li abbiamo trovati a trecento metri dalla casa della Signora. – ha affermato uno degli agenti della ‘Volante’ intervenuta – Ce li ha indicati quando siamo arrivati”. I due erano a bordo di un’auto, condotta da un terzo individuo. Portati in questura per l’identificazione, Ounasser viene arrestato per tentato furto (patteggerà per quell’accusa, processato con “direttissima” l’indomani), mentre per tutti scatta la denuncia per truffa aggravata (dalle condizioni di “minorata difesa” della vittima) in concorso.
A condurre il mezzo era il 32enne albanese Mirsad Spahija, l’unico dei tre imputati oggi presenti in aula. Dopo aver risarcito la donna con 400 euro, ha ripercorso quel mattino: “eravamo in cinque”, tutti venditori per conto della ditta dei rilevatori, e “abbiamo usato la mia macchina per non spendere troppo”. Dopo essersi divisi in due gruppi, attorno a mezzogiorno, uno dei colleghi “mi ha chiamato per andarli a prendere”. “Li ho fatti salire” e, poco dopo, è intervenuta la Polizia. “A me piace vendere, non ho mai avuto un problema, il mio errore è stato caricare una persona che non conoscevo”.
Nella requisitoria, il pm Eugenia Menichetti ha puntato il dito contro una “modalità di vendita che è ormai una piaga del nostro Paese. Procure ben più grandi della nostra sono intasate di denunce per questi fatti. Si va, guarda caso, da persone anziane e sole”. Dopodiché, “si fa credere che sia obbligatorio” il rilevatore, “si va ad incidere sulla capacità di autodeterminazione della persona, non si lascia riflettere, consultarsi con dei parenti. Si deve entrare e uscire con i soldi”.
Per il pm, se Ounasser e Lemfaddel hanno evidentemente approfittato della “debolezza emotiva” dell’anziana, anche Sphaija è colpevole. “Ha avuto sicuramente un ruolo minoritario, ma non si può negare che il contributo morale e materiale al fatto ci sia stato: sono partiti insieme per andare a vendere e hanno progettato assieme le vendite”. La requisitoria si chiude chiedendo 1 anno di carcere e 1.500 euro di multa per gli imputati entrati nella casa e 6 mesi e 300 euro per il terzo.
Il difensore, l’avvocato Giuseppe Pesce del foro di Brescia, arringa impuntandosi che “sostenere che un altro venditore abbia contribuito, anche moralmente, al fatto che altri abbiano commesso una truffa, lo si può fare solo agitando il fenomeno e il fastidio che questo dà”, ma così “siamo fuori da qualsiasi regola del diritto”. Il giudice si ritira e, poco dopo, legge la sentenza in aula: Ounasser e Lemfaddel sono condannati, Sphaija viene assolto “per non aver commesso il fatto”. Poco prima aveva spiegato che oggi vende “rilevatori di banconote false”, ma non più a domicilio. “Meglio” lo avevano pensato in tanti, ma a voce alta non aveva potuto dirlo nessuno.