Generalità e testimonianza falsa per crearsi una nuova identità: 27enne condannato a 4 anni
Nel giro di due anni, gli agenti della Polizia in servizio al tunnel del Monte Bianco, lo hanno arrestato due volte, entrambe mentre cercava di attraversare la frontiera con documenti falsi. Nella prima occasione, nel giugno 2014, aveva fornito ai poliziotti una carta d’identità italiana, intestata ad un argentino. La seconda volta, nel maggio di quest’anno, aveva esibito un documento emesso sempre da un comune della penisola, con i dati di un ignaro cittadino, ma la sua foto.
Sono state proprio le indagini seguite a quest’ultimo fermo a condurre oggi Damiano Davidovic, 27enne apolide, dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Aosta, Marco Tornatore, che gli ha inflitto una condanna di quattro anni di reclusione. Le accuse a suo carico includevano il possesso e la fabbricazione di documenti d’identificazione falsi, la supposizione o la soppressione di stato, nonché la falsa attestazione o dichiarazione, a un pubblico ufficiale, sull’identità personale.
In sostanza, cos’è emerso dalle indagini condotte dagli inquirenti, che – in occasione del più recente arresto – erano risaliti alla reale identità dell’uomo attraverso le impronte digitali e da subito avevano ritenuto quella carta d’identità ottenuta “in modo fraudolento”? Davidovic, circa un anno fa, si era presentato negli uffici del comune di Albignasego (in provincia di Padova), assieme ad un’altra persona, che aveva finto di essere suo padre. Grazie a quella testimonianza, e dichiarando dati falsi, era riuscito a completare una registrazione tardiva di atto di nascita.
Una procedura anagrafica attraverso la quale il 27enne si è creato, di fatto, una nuova identità, da utilizzare per sfuggire ai controlli, in occasione dei quali – se le forze dell’ordine avessero usato le vere generalità dell’uomo – sarebbero emerse le precedenti condanne a suo carico. L’accusa era rappresentata, in aula, stamattina dal pubblico ministero Carlo Introvigne. L’avvocato David Maria Russo, che ha assistito il 27enne, parla di “condanna sproporzionata”, annunciando la volontà di appellare la sentenza, al fine di ottenere una revisione sia della responsabilità, sia della pena comminata al suo cliente.