Il pluripregiudicato Giuseppe Nirta ucciso in Spagna

10 Giugno 2017

La notizia è giunta in mattinata, come un fulmine a ciel sereno, agli inquirenti italiani. Nelle prime ore di oggi, sabato 11 giugno, nella comunità di Murcia, in Spagna, è stato ucciso Giuseppe Nirta, 52enne nato a San Luca (in provincia di Reggio Calabria). Il corpo dell’uomo presentava ferite sia da arma da fuoco, sia da taglio: sull’omicidio indagano le autorità spagnole. 

Nirta, con dei precedenti per traffico di droga a carico, era stato coinvolto anni fa nell’operazione “Minotauro”, sull’infiltrazione della ‘Ndrangheta in Piemonte, con l’ipotesi della presenza di alcune “locali” nel torinese. Dalle accuse contestategli, il Tribunale di Torino lo aveva scagionato in primo grado, assolvendolo nel novembre 2013. La Corte d’Appello, però, nel maggio 2015, aveva rovesciato il verdetto, condannandolo a tre anni ed otto mesi di reclusione, oltre a quattordicimila Euro di multa, quale aumento di una pena divenuta irrevocabile nel 1996, inflittagli sempre dalla corte torinese.

Nirta aveva però, assieme a numerosi altri imputati di quel maxi-procedimento, presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte si era pronunciata nell’ottobre 2016, disponendo l’annullamento della sentenza e il rinvio in secondo grado, per un nuovo processo. “Non è sufficiente – avevano scritto i giudici di Cassazione – rilevare che il Nirta aveva una base ad Aosta per affermare che egli era attivo nell'ambito della consorteria piemontese e specificamente in quella operante nel torinese, oggetto di contestazione nel presente processo”. 

Peraltro, “lo specifico luogo nel quale avvenivano i traffici non implica infatti che gli stessi fossero legati alla specifica operatività di quella consorteria e che il ruolo del Nirta fosse ad essa funzionale, non potendosi in alcun modo escludere su tali basi che egli operasse in vista degli interessi della 'ndrina di San Luca di sua provenienza”. In sostanza, se era dimostrata l’appartenenza del 52enne di San Luca alla ‘Ndrangheta, non era sufficientemente evidente il suo ruolo nella “locale” piemontese cui si riferiva la vicenda giudiziaria.

Di recente, il nome di Nirta era poi tornato alla ribalta delle cronache valdostane per l’inchiesta della Procura di Milano che ha fatto finire in manette l’ex pubblico ministero Pasquale Longarini e l’imprenditore Gerardo Cuomo. I Carabinieri, indagando su quest’ultimo, lo avevano notato incontrare, presso la sua azienda (il Caseificio valdostano, con sede a Pollein), il pluripregiudicato Nirta, figura cui gli inquirenti avevano ricondotto una ditta spagnola “con la quale il caseificio aveva intrapreso rapporti commerciali”.

Nel periodo successivo, come spiegato nell’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari Giuseppina Barbara, i militari avevano tuttavia constatato che Cuomo aveva “praticamente troncato i rapporti con Nirta, evitando di rispondere alle sue telefonate e facendosi finanche negare dai suoi collaboratori”. L’imprenditore aveva così perso “interesse per gli investigatori”

Tale repentino cambiamento delle sue abitudini (gli incontri fra Nirta e Cuomo erano stati osservati con cadenza mensile o bimestrale, sempre nel Caseificio, ogni qualvolta il pluripregiudicato rientrava dalla penisola iberica) era, per gli inquirenti, conseguenza del fatto che Longarini fosse stato messo al corrente dell’attività investigativa dai Carabinieri. 

Secondo l’accusa, il magistrato oggi sospeso aveva avvisato l’imprenditore, con cui intratteneva rapporti d'amicizia (anch'egli era stato visto più volte recarsi nell'azienda di Cuomo), della “pericolosità” di quella frequentazione. Un disegno accusatorio sintetizzato nell’ipotesi di reato di favoreggiamento per Longarini. Con la morte di Nirta viene meno una figura chiave di quello scenario investigativo, che non sarà ora certo più facile suffragare per gli inquirenti.

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