Il pubblico ministero chiede 6 anni di reclusione per i coniugi Cunéaz

02 Ottobre 2008

Per l’accusa non ci sono dubbi sulla colpevolezza della famiglia Cunéaz di Valpelline. Infatti, al termine della sua requisitsoria, il pm Luca Fadda (ieri, mercoledì 1° ottobre al suo ultimo processo in Valle d’Aosta, infatti, da domani sarà in forza al tribunale di Savona come giudice civile) ha chiesto la condanna per tutti e quattro gli imputati. L’accusa ha chiesto: 6 anni e due mesi per Clelia Brédy, 53 anni, 6 anni e 10 mesi per Napoleone Cunéaz, 6 anni e un mese per Edy Cunéaz e 6 anni e un mese per Ugo Brédy. Per loro l’acccusa è di riduzione in schiavitù nei confronti di un loro ex dipendente. Poi, l’udienza è stata aggiornata al 18 febbraio, giorno delle arringhe delle difese, mentre il 4 marzo ci sarà la sentenza.

Prima di dare la parola finale all’accusa, i quattro imputati hanno reso spontanee dichiarazioni. Hanno spiegato che erano contenti del lavoro svolto da Ahmed Naghim, 33 anni, il giovane marocchino che fino all’aprile del 2005 aveva lavorato per loro, e di non averlo mai maltrattato. Tanto meno ridotto in schiavitù.

Per l’accusa, invece, la versione dei fatti fornita dai Cunéaz non solo fa acqua da tutte le parti, ma ci sono prove e testimonianze che provano il contrario. Il gip, in fase di ordinanza cautelare per Napoleone Cunéaz e la moglie Clelia aveva scritto di come il ragazzo “vivesse in un isolamento fisico e morale fonte di condizionamento psicologico aggravato dal fatto di essere anche irregolare sul territorio nazionale”. Secondo l’accusa, Ahmed Naghim in un’occasione era riuscito a telefonare al fratello e a dirgli in che condizioni era costretto e vivere. Tutti fatti accertati.
Per la difesa degli allevatori di Valpelline Ahmed Naghim era libero, ben nutrito, pagato e soprattutto trattato bene.
A febbraio la parola spetterà alle difese, poi la tanto attesa sentenza.

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