La Cassazione conferma il dissequestro dei documenti di Chaplin
La Corte di Cassazione ha confermato il dissequestro dei 49 scatoloni di documenti relativi a Charlie Chaplin, che erano stati individuati il 5 settembre 2022 dai funzionari dell’Agenzia delle dogane, al traforo del Gran San Bernardo, su un furgone diretto in Svizzera. Il materiale era stato posto sotto sigilli, ma il Tribunale del Riesame aveva disposto, nell’ottobre dell’anno scorso, la revoca del provvedimento. Una decisione per cui il pm titolare del fascicolo, Giovanni Roteglia, aveva depositato ricorso alla Suprema Corte, che lo ha rigettato, dopo un’udienza di tre mesi fa.
Il materiale includeva, tra l’altro, il certificato originale di conformità de “Il Grande Dittatore” (1940), lo storyboard a disegni del film mai realizzato “The Freak” e della corrispondenza privata tra il grande cineasta e Leo Stokowski, direttore d’orchestra che compare in “Fantasia” di Disney. Il sequestro del carico del furgone, risultato di provenienza legittima, era scattato contestando l’assenza di un attestato di libera circolazione, certificato previsto dalla legge per gli spostamenti di materiale di valore culturale.
Il furgone si stava spostando dalla Cineteca di Bologna, impegnata in un progetto di valorizzazione e digitalizzazione del patrimonio artistico anche documentale di Chaplin, ad una sede museale a Montreux. Con l’ipotesi di uscita illecita di beni culturali, erano quindi stati iscritti in due nel registro degli indagati: la persona che era al volante del mezzo fermato ed un responsabile dell’istituzione bolognese. La documentazione, avevano ricostruito gli inquirenti, era giunta in Italia da Parigi, sede della società che detiene i diritti di tutti i film di Chaplin e dell’associazione che protegge i diritti morali sull’opera e l’immagine del cineasta.
Per la Cassazione, però, la situazione non consente di configurare, rispetto al materiale sequestrato, la fattispecie di reato inizialmente prospettata. “Non sussiste un legame culturale con il nostro paese e, a ben vedere, non sussistono elementi sufficienti per ritenere in generale il carattere culturale delle cose oggetto di sequestro: – si legge nella sentenza – i beni per cui è processo si trovavano in Italia solo occasionalmente e per ragioni di natura transitoria, risoltesi le quali, in adempimento di appositi vincoli contrattuali, avrebbero dovuto fare ritorno nel paese di origine”. Un pronunciamento per cui la Procura ha chiesto al Gip di archiviare il fascicolo aperto contestualmente al sequestro.