L’”Affaire Bccv-Perron” correva (anche) sui cavi del telefono, ma la Procura ascoltava
Occupano ventidue delle cinquantacinque pagine delle motivazioni scritte dal Gup Davide Paladino – a sostegno della condanna, per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, dell'ex assessore regionale alle finanze Ego Perron (tre anni di carcere) e del presidente Marco Linty e del consigliere d'amministrazione della Bccv Martino Cossard (un anno ognuno, pena sospesa) – le telefonate tra gli imputati, o tra alcuni di loro ed altre persone, del processo sull'“affaire” legato allo spostamento della filiale di Fénis della banca.
Non si tratta di quelle intercettate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, nell'ambito di un'indagine su altri fatti, aperta nel 2014: quelle sono state riconosciute inutilizzabili nel giudizio chiusosi ad Aosta nel novembre 2017, grazie ad un'eccezione delle difese dell'ex assessore regionale e dei vertici dell'istituto di credito, curate dagli avvocati Fabio Fantini e Andrea Bertolino (Perron), Maria Rita Bagalà e Carlo Federico Grosso (Linty) e Giovanni Borney (Cossard). Ad ascoltare e registrare le conversazioni dei tre allora indagati era stata, infatti, anche la Procura di Aosta, nell'ambito delle indagini del pm Luca Ceccanti. Queste sono finite negli atti del procedimento e tornano nelle motivazioni del Gup, che dedica loro un capitolo intero.
Il momento “fotografato” da quelle telefonate corrisponde ad una fase molto precisa della vicenda: partono infatti dall'aprile 2015, quando il contratto d'affitto stipulato poco prima, a febbraio, tra l'assessore e la banca, appare difficilmente realizzabile, perché i locali di proprietà dell'amministratore regionale oggi sospeso, di cui la Bccv avrebbe dovuto eseguire i lavori di adeguamento, sono gravati da un vincolo di destinazione d'uso a bar-ristorante. Sono dialoghi che, per il Gup Paladino, testimoniano “l'intensa attività di pressione esercitata da Perron sui coimputati, al fine di convincerli ad assecondarlo nel tentativo di ovviare all'ostacolo” che finirà con il rivelarsi insormontabile e farà saltare l'operazione.
“Le conversazioni intercettate, – si legge ancora – oltre a disvelare una certa consuetudine di rapporti tra Perron, Linty e Cossard, dimostrano come questi ultimi, in posizione di sudditanza psicologica nei confronti dell'influente politico, siano stati fatti oggetto di una 'martellante' condotta di pressioni, in cui si alternavano blandizie e talvolta ingiurie”. Peraltro, pur collocandosi “in periodo successivo alla consumazione del reato” per cui gli imputati sono stati processati, “avvenuta con la stipula del contratto di locazione”, quelle telefonate costituiscono “elementi aventi forte natura indiziaria circa” l’attitudine di Perron, sin dalla fase delle trattative per la chiusura dell'accordo di affitto.
La “strategia comune” tra Assessore e banca
Il vincolo rischia di far sfumare l'“affare” da 27.600 euro annui e Perron, ad aprile, propone a Linty, chiamandolo, quella che il Gup definisce una “strategia comune volta a superare i problemi relativi alla validità del contratto”. “Studiamo, studiamo insieme una strategia, insomma… – afferma l’assessore regionale – sono già andato con l'avvocato all'urbanistica per vedere se in qualche modo e in che modo è superabile quella cosa lì, cioè… io tenterei quella strada dopo per carità se non si può risolviamo la questione”.
Analoga “manovra” di coinvolgimento degli organi della banca, in una “linea comune di salvataggio del contratto” viene tentata da Perron con la componente del CdA della Bccv Nadia Piccot. “Volevo, volevo chiacchierare anche strategicamente per vedere cosa poter fare lì…” le dice al telefono, incassando una serie di “va bene” e “sì” dalla donna che, secondo il Gup, è “legata da amicizia e comunanza politica” all'esponente unionista.
La “strategia avvolgente” nei confronti dei vertici della banca non risparmia il direttore generale Maurizio Barnabé, cui Perron telefona il 12 maggio 2015. Una frase in particolare, per il giudice estensore delle motivazioni, palesa l'intento “di far fronte comune con la banca, al fine di far mutare gli orientamenti della nuova amministrazione comunale di Fénis (le elezioni amministrative erano recenti, ndr.), che appare viceversa da subito intenzionata a far valere il vincolo, e di ottenere l'aggiramento del problema”.
“No, ma io lì adesso vorrei tentare una cosa, lo so qua… – spiega Perron al dirigente dimessosi alla fine dello scorso anno dal suo incarico – nel senso che io… io vorrei per tentare l'ultima carta, per dimostrare anche che facciamo in modo serio, io sto lavorando a due pareri legali che mi… che mi dicono, che mi dicono che il… il… vincolo è modificabile, no! Allora io vorrei concordare questo con Martino da chiedere al Comune cioè che… che la banca insieme a me metta in piedi questa richiesta”.
“Mettere il Comune davanti alla situazione”
In effetti, successivamente l'ex assessore regionale cerca Cossard, che in quel momento, oltre a sedere nel CdA della banca, è presidente di “Bâtiments Valdôtains”, la controllata della Bccv deputata alla gestione del suo patrimonio immobiliare. “Poi se sei d'accordo, insieme… – lo incalza – io direi la proprietà e la banca fanno una richiesta… la vediamo assieme a te che è anche la tua materia questo…”. Per l'interlocutore, “la soluzione migliore è proprio questa di mettere comunque il Comune davanti alla situazione di dire vabbè c'è una richiesta di un certo tipo… dobbiamo dare… una risposta e in funzione di questi pareri legali noi saremo nelle condizioni… poi è chiaro che lì ci va un minimo di volontà”.
Perron e Cossard si sentono nuovamente il 27 maggio, decidendo di vedersi, così – dice il già assessore – “ti preparo una copia di tutto e studiamo un attimo la strategia”. A quel punto, annota il Gup Paladino, l'esponente politico si rivolge nuovamente “alla fida Piccot”, per “avere consigli in merito a come muoversi con la nuova amministrazione comunale di Fénis, con l'evidente finalità di portare anche quest'ultima dalla propria parte”. “Insomma – è la riflessione di Perron alla donna – tu anche conosci la situazione qua di Fénis di capire un po' che cosa… che cosa è immaginabile fare ecco!”.
Lei chiede anzitutto “perché c'è effettivamente il vincolo?” poi, sentita l'ipotesi di una istanza congiunta con la banca, si sincera “E Martino come ti sembra?”. Lui la rassicura: “Martino lui ha detto certo che… ma lui… certo lui mi dice così è… un fatto tecnico, se vuole… poi mi dice chiaro che se il Comune si vuole mettere di traverso… ti dice no”. Poi, arriva al punto di voler “comprendere un po' magari con te che cosa è meglio fare con il Comune, capisci…”.
La “sponda” che manca, Perron la cerca quindi nel vicesindaco di Fénis, Fabio Cerise, cui fa squillare il telefono “per riuscire a combinare un incontro con il nuovo sindaco”. Alla richiesta “tu hai un giorno che ricevi in comune?”, la risposta è “non l'abbiamo ancora messo… siamo dietro ad organizzare piano, comunque non l'abbiamo ancora messo, ma se…”. Perron rilancia con “ti torno a cercare un giorno, mi fate venire un giorno magari che c'è anche Mattia (Nicoletta, il neo-sindaco, n.d.r.)”. Il tentativo “di influenzare le decisioni della nuova giunta comunale – commenta in una nota alle motivazioni il Gup Paladino – non andrà in porto visto l'aperta ostilità della maggioranza comunale all'Assessore”.
“Ma anche deliberare…!”
La notizia del trasferimento della filiale della Bccv nei locali di proprietà di Perron è uscita sui media locali, diventa oggetto di un'interrogazione al Consiglio regionale (la solleva il consigliere M5S Stefano Ferrero) e causa l'ostilità manifesta, tramite una missiva, di un gruppo di soci di Fénis dell’istituto di credito. L'insieme di questi fattori induce – è la ricostruzione del giudice – “il CdA della Banca, con i fari della polemica politica puntati addosso, a soprassedere dall'inoltrare una richiesta congiunta al Comune”. Anzi, la decisione è di inviare all'assessore una lettera nella quale “il locatore veniva diffidato all'eliminazione del vincolo nel termine di dieci giorni, pena la nullità del contratto”.
Linty chiama Perron il 3 giugno, per comunicargli in anticipo la determinazione assunta. L'assessore non se la aspetta, perché “confida nelle recenti rassicurazioni di Cossard sulla disponibilità ad inoltrare un'istanza congiunta al comune”. Nella telefonata, l'assessore scaglia “tutta la sua rabbia” contro il Presidente della Bccv, a suon di: “sono rimasto d'accordo con Martino che scusa lui ne parlava e diceva… a parte che aveva suggerito un'altra cosa”, “ma anche deliberare cazzo!… uno può sempre dire aspettiamo un minuto è in corso questo…!” e “però anche per i rapporti tra di noi… ma cioè d'emblée così si delibera…”.
Uno sfogo che, per il Gup Paladino, trova spiegazione non “in un'ottica di relazioni, anche conflittuali, fra controparti contrattuali”, ma “nel fatto che Perron si senta 'tradito' dal sodale Linty”. All'attenzione del magistrato non sfugge poi come, “a fine telefonata” l'allora assessore “cerchi di convincere” il Presidente della banca ad incontrarlo “nell'estremo tentativo di condizionare a proprio vantaggio le decisioni della banca”: “Prima di far partire la lettera vediamoci un minuto va… prima di firmarla… quando vuoi… fammi il piacere”.
Subito dopo, Perron compone il numero di Cossard e la conversazione ha “eguale tenore” rispetto alla precedente. Il consigliere della banca, nell'evidente “tentativo di prendere le distanze dalla decisione sfavorevole all'assessore, addossandone la responsabilità sugli altri” componenti dell'organo direttivo dell'istituto, prova a sostenere che “io non ho capito questa cosa qua”. Perron, però, torna alla carica: “lì sulla lettera che mi scrivete… comunque una manifestazione d'interesse che mi permettesse di andare in Comune e dire la banca… la banca se si supera il vincolo viene comunque…”.
La fermezza di Roberto Domaine
Il giorno dopo, il 4 giugno, è Linty a fare una telefonata. Riferisce a Roberto Domaine, che della banca era allora ed è ancora vicepresidente (ed è noto anche per essere il Sovrintendente ai beni ed alle attività culturali della Regione), della “sfuriata” del politico. Dalla conversazione, osserva il Giudice per l'Udienza Preliminare, “emerge la convinzione di entrambi gli interlocutori che Perron sapesse del vincolo e che lo abbia volontariamente taciuto”, ma anche “una posizione molto più dura e netta” contro l’assessore “da parte di Domaine, che di Linty”.
Al presidente della banca che gli dice di un Perron che “si è arrabbiato, mi ha insultato… mi ha detto 'ma come?'”, il suo vice ribatte con “noi prima di risolvere il vincolo ci mettiamo un anno e mezzo, due… per un anno e mezzo, due affittalo…” e poi, della rabbia dell’assessore, dice “sono io che sono incazzato con lui perché sono andato giù e ho fatto una figura di merda… il vincolo lo sapeva lui, io non lo sapevo”. I due parlano ancora il giorno dopo, il 5 giugno, ed “emergono evidenti le continue pressioni del Perron sui membri del CdA della Banca per convincerli ad una soluzione del problema del vincolo a lui favorevole”.
“Madonna che martello che è l'altro” esclama infatti Domaine appena all'altro capo rispondono. E poi, nel corso della conversazione, il vicepresidente sottolinea: “perché io non ho voglia di avere una reazione di responsabilità civile perché pago un affitto… che è palesemente illegittimo”. Linty si sofferma poi sui tentativi di Perron di fissare un incontro riguardo al contenuto della lettera e “io gli ho detto che la lettera la sto facendo preparare dall'ufficio legale… che me l'hanno già fatta ieri, io gli ho detto fatemela bene perché… insomma… che sia fatta bene perché… non voglio problemi”.
Nell'ultima telefonata finita delle motivazioni della sentenza del giudice Paladino, è Linty a chiamare sua moglie, il 3 giugno 2015, giorno in cui “la banca aveva deliberato di far valere la nullità del contratto”. Parlando di Perron, il presidente della Bccv – confermato nelle sue funzioni dall'Assemblea dei soci dello scorso dicembre, come l'altro condannato Cossard – afferma apertamente “cioè figurati se non sapeva che c'era questo vincolo” e poi ragiona a voce alta in termini di: “dico, si faccia un esame di coscienza lui… tutto 'sto casino qua che non ti dico… un danno d'immagine anche per la banca”. Difficile immaginasse che, due anni e cinque mesi dopo quella frase, le conseguenze sarebbero state ben diverse. A pensarlo, però, era la Procura, in ascolto e convinta che tutto ciò rispondesse al nome di “induzione indebita a dare o promettere utilità”, con il Gup Paladino infine concorde.