Le parole di papa Francesco, di San Tommaso e di Paulo Coelho per salutare Matteo Guerrisi

21 Maggio 2016

Quando il feretro di Matteo Guerrisi, coperto da un cuscino di rose rosse, esce dalla chiesa di Saint-Martin-de-Corléans al termine del rito funebre, nel primo pomeriggio di oggi, è solo più un timido soffio di vento a parlare. Le persone, accorse a centinaia, tanto che molte sono dovute restare sul sagrato durante la funzione, restano in silenzio, con il dolore e l’incredulità definitivamente padroni delle labbra.

Domani sarà trascorsa esattamente una settimana dall’incidente a seguito del quale il giovane è mancato, l’altro ieri, dopo quattro giorni nel reparto di rianimazione. Un momento su cui don Nicola Corigliano, viceparroco che ha celebrato la messa (con al suo fianco il parroco storico del quartiere, don Luigi Maquignaz), si è soffermato nell’omelia, legandolo alla grande passione del ventiseienne scomparso: il biliardo. "Conosceva bene – ha detto il sacerdote – gli effetti del rimbalzo delle palle, delle carambole ed era un ragazzo schivo. Purtroppo, non è riuscito a schivare la carambola più disastrosa della sua esistenza, in cui peraltro non ha alcuna responsabilità".

Subito prima, il ricordo di un animo generoso e genuino: "mi è venuto in mente – ha raccontato don Nicola – quello che ieri mi diceva Valentina (una delle due sorelle, ndr), vale a dire che Matteo aveva un carattere un po’ particolare. Quando gli chiedevi un piacere, inizialmente ti diceva di no, ma poi faceva quello che tu gli chiedevi, a mostrare una generosità non tanto a parole, o di facciata, ma una disponibilità sostanziale nei confronti delle persone che amava".

L’amore, l’unico sentimento credibile in una circostanza del genere, – secondo il sacerdote – capace se non di dare risposta ai tanti, troppi "perché?", di lenire il dolore. "Senza esitazioni – ha aggiunto il viceparroco – Valentina mi ha detto ‘lo amavo e lo amo’. Questo verbo declinato al presente ci fa capire che questo dramma può non trasformarsi in tragedia". La strada è quella mostrata in un passo dell’enciclica di papa Francesco, "La gioia del Vangelo": "di fronte a una grande tristezza, soltanto l’amore può arginare questa marea nera". Un riferimento che fa da ponte verso il "gran compito" che ci lascia oggi Matteo, cioè quello "di dire ‘da questo momento in poi la mia morte deve trovare un senso per te, per ognuno di noi, altrimenti facciamo prima ad arrenderci’".

Una resa a cui il gruppo di amici salito all’altare per ricordare "Pippo, Beppe, Guerra, Teo, Matteo" (perché "già era complicato chiamarti, figurati definirti") promette di non piegarsi."Ci manchi – ha esclamato una ragazza a nome di tutti, con la voce rotta più volte dalle lacrime – e te lo stiamo urlando con tutto il silenzio di cui siamo capaci. In questi giorni abbiamo ripercorso il tempo e ritrovato il tuo sguardo e i tuoi occhi, che qualcun’altro potrà ancora guardare. L’ultimo gesto tuo e della tua splendida famiglia che conferma il vostro essere di cuore". Infine, i versi del poeta brasiliano Paulo Coelho, a dare "la definizione perfetta per te: sii forte che nessuno ti sconfigga, nobile che nessuno ti umili e te stesso che nessuno ti dimentichi. Noi non lo faremo. Buon viaggio e arrivederci".

Poco prima, il baritono Federico Longhi aveva intonato, assieme ad un’altra voce lirica, il “Panis Angelicus”, una strofa dell’inno latino “Sacris solemniis”, composto da San Tommaso d’Aquino. Poi, a messa finita, prima di avviarsi verso il cimitero di Aosta, dinanzi alla chiesa, l’abbraccio della folla a mamma Giulia, papà Edoardo e alle sorelle Erika e Valentina. In silenzio, perché – tornando alle parole di don Nicola – "certe lacrime sono benedette, perché sono segni di affetto e di amore".

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