L’ultimo saluto ad Alex Bonin. Sulla sua bara il casco da istruttore di rafting
Forse non sapremo mai se Alex Bonin ha davvero scelto di andarsene, o se lo hanno braccato fino a farlo cedere i suoi pensieri, cresciuti come gramigna in quella zona d’ombra dell’anima di cui le persone che ti circondano si accorgono solo quando è troppo grande, sovente quando è ormai tardi. Comunque sia, il silenzio è stata la sua vera decisione. In silenzio si è allontanato, facendo perdere le sue tracce; il silenzio ha trovato lassù, nel bosco di Champlong, a nemmeno due chilometri dalla casa in cui viveva.
Una scelta forse difficile da comprendere, ma semplicemente da rispettare. Così, al funerale tenutosi stamattina, sabato 23 luglio, al Cimitero di Aosta, malgrado le tante persone convenute, il silenzio era il suono dominante. Alex, nonostante a 23 anni qualche interrogativo sia umano averlo ancora, non nutriva dubbi su cosa volesse nel suo mondo e su cosa, invece, dovesse restarne fuori. Nel secondo insieme aveva collocato d’ufficio le religioni e l’ultimo saluto si è quindi tenuto in forma laica.
Solo il papà Mauro, ad un certo punto, ha preso la parola. Ha ringraziato tutti i presenti. Poi, il silenzio è tornato ad avvolgere la saletta polivalente in cui la bara era stata portata ieri. Sul feretro, e tutto attorno, le testimonianze di ciò che costellava l’universo del giovane dal fisico imponente e dallo sguardo buono. Il casco da istruttore di rafting e la giacca azzurra della società per cui lavorava, gli anfibi che hanno reso sicuro il suo passo in mille battaglie di soft-air nei boschi della Valle e un pannello ammantato da foto di momenti felici, affiancate dal messaggio: “in ricordo di Alex, un amico sincero che ci ha regalato molti indimenticabili sorrisi”. Firmato: i compagni e i professori.
Appoggiato alla bara, accanto alla foto del ragazzo scomparso, c’era anche un cuscino di fiori rossi, della moglie Elodie, che poco distante faticava a trattenere le lacrime, incessantemente confortata da parenti ed amici. Lei, sposata da Alex in maggio, di quel mondo – fatto di cose semplici, come tutto sommato è giusto (e bello) che sia semplice la vita di un ragazzo – era diventata il fulcro. A lei, nella fase in cui la triste scoperta di Champlong era scacciata a forza dai pensieri di tutti, si sono rivolti costantemente i soccorritori e gli inquirenti per trovare il bandolo dell’aggrovigliata matassa da dipanare per arrivare a Bonin. A lei, com’era evidente stamattina, toccherà l’eredità più difficile di questa vicenda: l’assenza.
Un’assenza come un muro contro il quale diventa difficile non sbattere guardando all’allontanamento di Alex e al suo triste epilogo dopo quasi un mese, reso ancora più invalicabile dal silenzio (ancora lui) che ne ha circondato l’erezione. Le crepe di quella barriera, perché in questo come in altri casi alcune ne esistono, sono sotto la lente di ingrandimento della Procura di Aosta. Per la cremazione, che Alex avrebbe voluto sempre in omaggio a quella visione così nitida del suo pianeta, si dovrà quindi aspettare: un’indagine è in corso e chi la svolge non può che adottare la prudenza come bussola. Il corpo, terminata la cerimonia, è stato portato nella camera mortuaria del cimitero. Un lungo corteo lo ha accompagnato. Dopodiché, a tutti – parenti, colleghi, amici, compagni di scuola, conoscenti e sodali del soft-air – non è rimasto che fermarsi dinanzi al muro.