Maxi-sequestro di Fontine a Balicco, Cassazione conferma distruzione
Le 251 forme di fontina sequestrate nell'ottobre 2015 a Giuseppe Balicco vanno distrutte. A dirlo è oggi la Cassazione che ha respinto il ricorso presentato dal presidente della Coldiretti regionale e dell'Association “Amis des Batailles des Reines”.
La Procura contesta al produttore, cui gli agenti del Corpo Forestale Valdostano avevano prelevato circa seicento forme, la violazione delle norme sulla “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande” e la tentata frode in commercio.
L'Azienda Unità Sanitaria Locale aveva chiesto nei mesi scorsi al Pm Carlo Introvigne, titolare del fascicolo che include il sequestro a fini probatori delle forme, il dissequestro e la distruzione delle stesse. Il Gip nel dicembre scorso accogliendo parzialmente l'opposizione proposta da Balicco aveva disposto la distruzione delle 251 forme custodite in località Plaisance di Nus e non delle 248 in località Vayoux di Nus.
Nel presentare ricorso in Cassazione Balicco sostiene che “la decisione di procedere alla distruzione delle forme è stata adottata sulla base di accertamenti condotti dalla polizia giudiziaria senza alcun contraddittorio con la difesa, senza alcun accertamento tecnico irripetibile, senza alcuna campionatura o comunque un’analisi”.
Per la Cassazione il ricorso è infondato. ”Non era necessario alcun accertamento sulle caratteristiche intrinseche degli alimenti, essendo sufficiente l'esame visivo dei luoghi in cui essi erano conservati”. In particolare nella sentenza i giudici ricordano la relazione del Dipartimento di Prevenzione dell'Usl dove veniva rilevato in relazione ai locali che “erano presenti notevoli quantitativi di topicida e insetticida in prossimità dei formaggi, veleni impiegati direttamente nell'ambiente di stagionatura, costituenti un grave pericolo per la salute del consumatore. L’esposizione diretta a contaminazione di veleni è circostanza che rende assoluti il divieto di consumo alimentare e, a fortiori, anche a prescindere dall'esistenza della preventiva autorizzazione sanitaria”.
Per questo il Gip di Aosta “ha dunque ritenuto la violazione evidente dei divieti di possesso, detenzione e commercializzazione degli alimenti che giustifica da sola la possibilità di distruggerli”.