Maxi-truffa dell’energetico, chiesto il giudizio immediato per 15 persone

12 Maggio 2022

Sono quindici le persone per cui la Procura di Torino ha chiesto il giudizio immediato, a seguito delle indagini sulla maxi-truffa dell’energetico iniziate in Valle d’Aosta e culminate nell’operazione internazionale “Carta Bianca”, scattata lo scorso novembre con 22 arresti (di cui 5 tra Svizzera e Germania, gli altri in Italia). I reati di cui gli imputati devono rispondere, contestati a vario titolo, sono la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, l’associazione per delinquere (finalizzata in particolare alla truffa e ad altri delitti fiscali e di falso) ed il riciclaggio. L’udienza è stata fissata dal Gip del Tribunale torinese per il prossimo 19 luglio, salvo eventuali richieste di riti alternativi da parte delle persone chiamate a comparire.

La genesi dell’inchiesta

L’inchiesta era nata nell’estate 2019, dalla richiesta della Polizia criminale di Duisburg alla Guardia di finanza di Aosta su alcune fatture emesse da una società tedesca ad una ditta con sede a Saint-Christophe, la “Power Q Srls”. Dagli accertamenti era emerso che l’azienda collocata in Valle era, in realtà, inesistente, affidata ad un prestanome. Gli inquirenti erano così riusciti a venire a capo del meccanismo messo a punto: la società era infatti una “E.S.Co”, una Energy Service Company, un soggetto che – a fronte dell’effettuazione di interventi di efficientamento energetico – otteneva dal Gestore dei Servizi Energetici dei titoli, detti “certificati bianchi”, monetizzabili rivendendoli su un apposito mercato.

Il meccanismo della truffa

La comunicazione delle opere attuate, al tempo, era però solo telematica: di tutte quelle presenti negli elenchi non viene trovata traccia dalle “Fiamme Gialle”, ma i certificati risultano regolarmente emessi e la loro cessione (a clienti inconsapevoli, perché compravano un titolo genuino), garantisce un cospicuo introito. L’accaparramento dei titoli appare il “business” di un gruppo di quattro persone, radicato nel torinese. A guidarle, nella ricostruzione degli inquirenti, è il 49enne Maurizio Greco di Torino e lo completano Giovanni Insinga (46, Chieri), Ilario Sapere (33, Torino) e Massimo Scavone (50, Venaria Reale). Nella richiesta di immediato del pm Giulia Marchetti si legge che la “Power Q”, dal gennaio 2016 al luglio 2020, ha ottenuto 26.695 certificati, ricavando dalla loro rivendita un corrispettivo di poco superiore agli 8 milioni di euro.

Dei contanti sequestrati nell’operazione.

Una rete di società

Non male per una società che esisteva solo sulla carta, ma gli inquirenti, allo stesso gruppo di persone, ne riconducono altre quattro, con sedi (risultate altrettanto fittizie) ad Asti, Cernusco sul Naviglio (Milano), Cavaglià (Biella) e Vercelli. Una moltiplicazione esponenziale, nella tesi d’accusa, di ricavi illeciti. Proprio la struttura a rete, che disvela agli occhi di chi indaga un’associazione a delinquere, fa sì che il fascicolo passi dalla Procura di Aosta a quella distrettuale di Torino, competente per i reati associativi. Oltretutto – ricostruiscono i finanzieri – la truffa contestata, ha finito con il generare rincari nella spesa di famiglie ed aziende per l’energia elettrica e il gas.

I rincari per gli utenti

L’acquisizione dei “certificati energetici”, da parte dei grandi distributori che li acquisiscono, viene infatti finanziata anche attraverso gli “oneri di sistema” prelevati in bolletta all’utente finale. Le altre persone coinvolte nell’inchiesta (che ha visto anche, al momento dell’esecuzione delle misure cautelari, il sequestro di due ville, di ingenti somme in contanti, di collezioni di orologi di lusso e di criptovalute) appartengono a quella che gli inquirenti hanno individuato quale catena di riciclaggio dei proventi che sarebbero derivati dalla truffa (proprio su questo aspetto era stata creata una squadra comune, tra finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Aosta e poliziotti tedeschi).

Il riciclaggio dei proventi

In particolare, stando alla richiesta di giudizio immediato, sarebbero stati attivi, “in autonomia tra loro ma sempre in stretto contatto e coordinamento con i vertici” della presunta associazione, un “gruppo tedesco” operante fino al 2018, un gruppo italiano sino al 2019, nonché altri due nuclei, uno campano ed uno pugliese, attivi dal 2018 all’esecuzione delle misure. La strategia passava per l’emissione, verso le cinque “E.s.Co.” attribuite al gruppo, di fatture relative a supposte consulenze (di cui non è stata però trovata traccia), che venivano pagate con bonifici (verso l’Italia e l’estero), quindi i soldi venivano riportati in Italia da “spalloni” (che trattenevano una percentuale fino al 18%) e così riconsegnati ai vertici della “cabina di regia” delle “società fantasma”. Il tutto, dall’inizio della catena, limitandosi ad una serie di “click”, ma i soldi ottenuti erano verissimi.

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