Mistero di Saumont, la pistola porta ad un aostano di cui non si hanno notizie da circa tre anni

17 Gennaio 2018

Nel mistero delle ossa ritrovate a Saumont la scorsa settimana, assieme ad altri oggetti, si è fatto strada un nome. E’ quello dell’aostano Giampiero Ugolin, ex dipendente delle poste e fotografo per passione, sulla settantina. A lui porta, tramite il numero di matricola, il revolver rinvenuto vicino ai resti: un’arma risalente agli anni settanta, di marca Derringer, una calibro 6.

Dell’uomo mancano notizie da circa tre anni e risulta cancellato per “irreperibilità” dall’anagrafe del capoluogo regionale. Le sue abilità fotografiche erano apprezzate ed ancor oggi il web restituisce tracce della sua partecipazione ad esposizioni collettive, con altri protagonisti di quelle retrospettive che ricordano Ugolin come un collega talentoso. Sul resto della sua esistenza, però, emerge poco, per non dire nulla.

Non risulta avere mai avuto legami stabili e la parente individuata dagli inquirenti avrebbe detto di non intrattenere rapporti assidui con lui, peraltro da prima che se ne perdessero le tracce. La sua stessa “scomparsa” non presenta contorni precisi: esiste chi ha parlato di un viaggio all’estero, forse in India, per un servizio fotografico, ma sono voci che si infrangono contro l’impermeabilità della vita di colui che, agli occhi di molti, appariva come un “lupo solitario”.

I Carabinieri del Nucleo investigativo e la Procura mantengono riserbo assoluto, perché se la pistola rimanda oggettivamente all’uomo, la certezza che il femore e il teschio rinvenuti giovedì 11 gennaio da un Alpino intento in addestramenti tattici siano anch’essi del detentore del revolver, al momento, non esiste. Un pronunciamento definitivo è atteso dalle analisi affidate dal pm Luca Ceccanti, titolare del fascicolo con il sostituto Carlo Introvigne, al medico-legale Mirella Gherardi, che le ha iniziate lunedì scorso, 15 gennaio.

Dalla corrispondenza, o meno, tra le impronte genetiche dei resti, ritenuti dai riscontri visuali “non recenti” e completamente scarnificati, e il nome dell’uomo registrato come possessore di quell’arma (un modello quasi da collezione), dipenderanno gli sviluppi delle indagini. Qualora pistola ed ossa fossero della stessa persona, resterebbero sul tappeto l’evento accidentale o il gesto volontario, suicida.

In caso contrario, gli inquirenti si troverebbero proiettati in uno scenario diverso, con più protagonisti ed ipotesi da vagliare. Una pagina bianca, tutta da scrivere. La frase ripetuta dagli inquirenti sin dalle prime ore dopo il ritrovamento, vale a dire “aspettiamo i risultati dei test del dna e forensi”, continua a rappresentare il “traguardo volante” che gli uomini comandati dal tenente colonnello Maurizio Pinardi e i due sostituti del procuratore capo Paolo Fortuna impegnati sul caso debbono tagliare per proseguire nel percorso.

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