Morì sul Grand Combin, per la giustizia elvetica la guida italiana non ha responsabilità
La giustizia elvetica ha archiviato, al termine delle indagini, la posizione di una guida piemontese di 68 anni, autorizzata all’esercizio della professione in Svizzera, che lo scorso 21 luglio accompagnava il 68enne Giovanni Ala di Brandizzo (Torino), precipitato e morto sul massiccio del Grand-Combin, non lontano dal confine con l’Italia, tanto da essere visibile da vari punti della città di Aosta.
Lo rendono noto i media svizzeri, sottolineando che per la Procura “nessuna carenza può essere imputata al professionista della montagna, che ha effettuato l’uscita a regola d’arte, assicurando al suo cliente il massimo delle possibilità a disposizione”. L’archiviazione richiama il rischio implicito nell’attività alpinistica, anche quando tutte le precauzioni del caso vengono assunte.
Guida e cliente, a quanto ha ricostruito la magistratura elvetica, si conoscevano bene, per aver effettuato assieme, in dieci anni, oltre trenta uscite, alcune delle quali decisamente più complesse di quella costata la vita ad Ala. Una frequentazione che aveva consolidato il legame amicale tra loro, rendendo entrambi estremamente consapevoli di procedure e ruoli reciproci.
Il giorno dell’incidente, prosegue la ricostruzione della Procura, dopo aver lasciato nella notte il rifugio Valsorey, diretti al Combin de Grafeneire (4.314 metri), i due stavano scendendo dal Combin de Valsorey. Arrivati a quota 3.859 metri, su una roccia larga un metro e lunga quattro, la guida era intenta a recuperare la corda, controllando con lo sguardo un’eventuale caduta massi a monte.
Ala, che aveva appena tolto il discensore dalla corda, era prossimo a legarsi di nuovo. In quel momento, è caduto improvvisamente. Precipitando per circa 240 metri, era morto sul colpo, malgrado l’intervento di Air Glaciers. L’inchiesta ha stabilito che i due fossero equipaggiati correttamente e avessero adottato tutte le cautele possibili. Il professionista della montagna aveva anche rinviato l’ascensione di un giorno, in ragione di una meteo non favorevole.
Quello a cui erano diretti era l’ultimo 4mila di quell’area del canton Vallese a mancare al palmarès dell’alpinista piemontese, socio storico del Cai di Chivasso e in pensione, dopo essere stato titolare di un’azienda nel campo radiofarmaceutico. Per gli inquirenti, nessun ancoraggio fisso era disponibile per assicurare il cliente sul luogo ove si è verificato il dramma. La caduta resta, per il procuratore svizzero, “senza spiegazione” e i fatti non presentano elementi per contestare negligenze alla guida, né un omicidio colposo.
Dalle indagini è emerso che Ala e la guida che lo accompagnava erano già incorsi un incidente nel 2014, con la caduta del cliente in un crepaccio. Anche in quel caso, dagli accertamenti effettuati dopo il sinistro, riporta la stampa elvetica, non erano state appurate mancanze del professionista. Quest’ultimo, sentito dagli investigatori svizzeri, ha detto loro di essere profondamente provato dall’accaduto, che rappresenta un peso dal quale non riuscirà mai ad affrancarsi.