Nomina del direttore Usl, la Corte dei Conti assolve Fosson e Baccega

15 Giugno 2022

L’inerzia della Regione, nel contenzioso innescatosi nel maggio 2017 sulla nomina di Igor Rubbo a direttore generale dell’Usl della Valle d’Aosta, ha esposto l’ente al risarcimento di un danno, ma tale situazione non può essere addebitata agli ex presidente della Regione Antonio Fosson ed assessore alla Sanità Mauro Baccega. E’, in estrema sintesi, il ragionamento della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti nell’assolvere i due amministratori, respingendo la richiesta della Procura contabile di condannarli al rimborso della somma di 121.990 euro, rimborsata dalla Regione a Rubbo.

La sentenza è stata depositata lunedì scorso, 13 giugno, dopo nemmeno un mese dall’udienza dedicata al caso, tenutasi lo scorso 19 maggio. Ritengono i giudici che, “in presenza di una materia che poteva presentare aspetti richiedenti una competenza strettamente giuridica, e di fronte all’assunzione di piena responsabilità nella gestione della vicenda da parte” del dirigente dell’Avvocatura interna “(avvalorato dal parere legale richiesto a studio esterno), l’affidamento dei convenuti all’operato del proprio avvocato sia stato ragionevole e certamente tale da escludere una condotta gravemente colposa”.

La ricostruzione della vicenda

La vicenda ha uno sviluppo complesso ed ha inizio nel maggio 2017, quando la Giunta allora guidata da Pierluigi Marquis decreta la salita, sul gradino manageriale più alto della sanità valdostana, di Rubbo, dirigente regionale di primo piano, all’epoca in servizio proprio all’assessorato alla Sanità. La designazione si attira le ire di uno degli altri inseriti nell’elenco degli idonei, che fa ricorso al Tar. La giustizia amministrativa gli dà ragione (in parte) e, nel febbraio 2018, annulla la nomina.

Capitolato Rubbo, per effetto della sentenza, le redini dell’azienda sanitaria passano prima al direttore pro-tempore Pierluigi Nebiolo e in seguito al commissario straordinario Angelo Pescarmona. Piazza Deffeyes però è perplessa su ciò che ha letto nella sentenza del Tribunale amministrativo e, nell’aprile 2018, la impugna dinanzi al Consiglio di Stato. Vedrà riconosciute le sue ragioni nel gennaio 2019 (per quanto con una pronuncia sul “rito” e non nel merito), ma la decisione complica il rebus con cui la Giunta regionale si trova a fare i conti (nel mentre, tra ribaltoni e controribaltoni, si è insediato il governo Fosson).

Le procedure di nomina variate

Rubbo, intanto, è diventato Capo del personale della Regione. La revoca della sua nomina all’Usl è annullata e ciò significa che avrebbe diritto ad occupare il posto di direttore generale dell’azienda sanitaria dal quale era stato spinto via dal primo ricorso. Nel tempo, però, le procedure di nomina sono mutate (da un elenco di candidati idonei formato su base regionale si è passati ad uno nazionale) e, sulla base della nuova normativa, per l’esecutivo Rubbo non è più un’opzione, giacché non possiede più i requisiti per rivestire quell’incarico.

La Giunta regionale, tuttavia, non assume determinazioni in merito (sono mesi di convulsioni politiche) e il tempo passa. Vista l’inazione nei suoi confronti è lo stesso dirigente a rivolgersi al Consiglio di Stato, chiedendo l’esecuzione della sentenza che lo riguarda. Il verdetto arriva nel giugno 2020: Rubbo doveva essere reintegrato all’Usl, ma vista la sopravvenuta conclusione del mandato triennale cui era stato nominato, ha diritto ad un risarcimento economico.

I giudici si fanno anche scrupolo di indicare anche la misura dello stesso: è dato dalla “differenza tra il trattamento economico previsto per il direttore generale dell’azienda” sanitaria “e quello effettivamente goduto” come “coordinatore della Direzione personale”, a cui aggiungere gli oneri previdenziali.

La delibera non adottata

Proprio in quest’ultimo scorcio dello scenario risiedeva l’ipotesi di danno erariale vista dalla Corte dei conti: parte del risarcimento ottenuto da Rubbo (dal febbraio 2019 al 2020) sarebbe, per la Procura contabile, conseguenza della mancata assunzione di decisioni sul caso, da parte dell’Esecutivo. Anche perché, a quanto era emerso al tempo, gli uffici regionali avevano predisposto una delibera di Giunta, mirata a coniugare la pronuncia del Consiglio di Stato con la sopraggiunta impossibilità di “restituire” il posto all’Usl, per la variazione dei requisiti richiesti. Quell’atto, tuttavia, non è mai stato adottato, dopo una discussione in seduta (seguita dal suo rinvio per approfondimenti).

La ricostruzione in sentenza

Tale frangente viene ripreso in sentenza, con i giudici che proseguono anche la ricostruzione. Dai documenti in atti, scrivono, “risulta che il convenuto assessore Baccega sollecitava più volte l’avvocato interno” a “provvedere a predisporre una nuova bozza di delibera”. Ancora, “risulta agli atti che a fronte della diffida a adempiere del dr. Rubbo”, lo stesso avvocato dirigente “replicava a nome della Regione segnalando l’impossibilità di adempiere sic et simpliciter alla sentenza” del Consiglio di Stato.

Alla luce dello sviluppo dei fatti, se la visione della Procura per cui la colpa dei convenuti “consisterebbe nella mancata attivazione delle iniziative necessarie al ripristino dello status quo in favore del dr. Rubbo”, in “punto diritto, è assolutamente condivisibile” agli occhi del collegio giudicante, non “lo è il passaggio successivo volto all’individuazione dei responsabili” nei due allora amministratori chiamati a giudizio (Bacccega ancora oggi siede in Consiglio Valle). La sentenza pone a carico della Regione il compenso per la difesa di ogni convenuto.

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