“Non vengo, chiami l’ambulanza”: medico condannato a 2 anni
Una sera d’inverno, con un gran freddo fuori e una madre ultranovantenne, sofferente perché bloccata a letto con una frattura importante e problemi psicologici significativi. Il figlio trova la situazione insostenibile e si rivolge al 118. Il medico di continuità assistenziale, sentito il caso, risponde che non si sarebbe presentato a casa a valutare la paziente. Una condotta per cui – nel processo tenutosi oggi, mercoledì 29 maggio, in Tribunale – il 50enne Antonio Arsena, originario di Brindisi ed all’epoca in servizio quale guardia medica ad Aosta, è stato ritenuto colpevole di rifiuto e omissione d’atti d’ufficio e condannato a due anni di carcere.
La vicenda, definita “sconcertante” in aula dal pm Luca Ceccanti, è stata ripercorsa attraverso varie testimonianze. Era il 7 febbraio 2017. Dopo il primo rifiuto, conclusosi in “chiami un’ambulanza o si rivolga al medico di famiglia”, l’uomo contatta nuovamente il servizio dell’Usl e ripropone il caso della madre. I colleghi del medico ritengono di intervenire e lo fanno. Somministrano dei farmaci e la signora migliora. “Che l’intervento e la valutazione dovessero essere fatti – ha affermato categorico il pubblico ministero – risulta pure dalle dichiarazioni dell’allora primario del Pronto soccorso, Massimo Pesenti, sentito nell’inchiesta”, ma l’imputato “non aveva voglia di prendere freddo” ed è “stato al calduccio”, restando “nel suo ufficio, a spese dell’ente pubblico”.
Per l’accusa, Arsena – “che si è sottratto con protervia” al processo (mantenendo un difensore d’ufficio e disinteressandosene) – “ha fatto strame dei principi base della deontologia medica e dell’umanità. Non solo si è rifiutato di andare a visitare la signora, ma anche di fare ciò che normativamente e deontologicamente avrebbe dovuto, cioè prendersi a cuore il caso”. “C’era l’età, c’era la frattura, c’era il rischio di una trombosi venosa, come ha detto il collega che poi è intervenuto”, ha aggiunto il sostituto Ceccanti, chiudendo la sua requisitoria con la richiesta di una pena prossima al massimo previsto per il reato contestato, un anno e otto mesi, perché “il fatto è gravissimo”.
Per parte sua, il difensore dell’imputato, ha osservato che “non è vero che il dottor Arsena non abbia dato nessun consiglio”, tanto che “non risulta aver ricevuto contestazioni disciplinari”. “La situazione grave era pregressa, ma senza elementi nuovi. – ha aggiunto l’avvocato Tony Latini, del foro di Aosta – Ha consigliato di sentire il medico di famiglia, o chiamare un’ambulanza. E risulta la telefonata. Lo condanniamo perché è maleducato, o perché ha sbagliato la valutazione? Questo, però, non è nell’articolo per cui viene accusato”. Argomenti che non sono risultati sufficienti per il collegio giudicante (presieduto da Eugenio Gramola e con Maurizio D’Abrusco e Marco Tornatore come giudici a latere), che nel sentenziare ha elevato la pena comminata al massimo di legge. Oltre la richiesta del pm, quindi, e disponendo anche l’interdizione del medico dai pubblici uffici per cinque anni.