Omicidio Nirta, per gli inquirenti spagnoli un’indagine difficile. Parla la donna che era con lui
A cinque giorni dall’omicidio, in Spagna, di Giuseppe Nirta, la “Guardia Civil”, alla ricerca di movente ed autori dell’uccisione che ha choccato la località costiera di Aguilas, riassume la situazione in una parola: complessità. Il lavoro dei detectives, che confermano il confronto costante con i colleghi italiani, è difficile per più di una ragione. La prima, declinata candidamente ai media iberici da più di una fonte vicina alle indagini, è nell’omertà che contraddistingue le organizzazioni malavitose cui la storia, anche processuale, di Nirta rimanda. Anche in casi del genere, il silenzio prevale e la collaborazione con gli apparati di sicurezza è semplicemente nulla.
Un altro elemento di complessità è dato dal fatto che i motivi che hanno condotto all’omicidio del 52enne possono essere molteplici. Una delle ipotesi resta la faida tra i clan ‘ndranghetisti di San Luca (visti i precedenti, come la strage di Duisburg, nel 2007, scattata quale vendetta dei Nirta-Strangio nei confronti dei Pelle-Vottari), ma per gli inquirenti non è possibile escludere altre piste, come un regolamento di conti negli ambienti di uno dei traffici illeciti in cui Nirta era coinvolto ("El italiano", com'era noto nella cittadina spagnola in cui risiedeva, aveva a carico condanne per lo spaccio di stupefacenti), oppure un’“epurazione” nell’ambito del suo stesso “giro”.
Un elemento sul quale i detectives spagnoli ritengono di essere giunti ad un sufficiente grado di certezza è nel fatto che a fare fuoco siano stati dei sicari, ingaggiati per l'occasione. Lo dicono sia la freddezza e l’efficacia con cui hanno agito: più colpi al corpo e uno, finale, alla testa, per assicurare la riuscita dell’esecuzione. Paradossalmente, tuttavia, l’elemento maggiormente certo è quello che complica ancora di più il quadro delle indagini: “se l’ipotesi di un gruppo di fuoco assoldato trovasse riscontro, sarebbe ancora più difficile risalire agli autori del crimine. Uccidono e, nel giro di poche ore, sono già in un altro Paese” ha dichiarato ai giornali spagnoli una fonte dell’inchiesta.
In quel caso, eventuali risultati sono normalmente legati al ritrovamento di prove sulla scena del crimine: bossoli o impronte digitali, in grado di portare a delle identità, ammettendo che le persone cui il “lavoro” è stato affidato abbiano già avuto a che fare con la giustizia e siano quindi nelle banche dati delle forze dell’ordine. Insomma, per ora non ci sono arresti e, salvo svolte repentine, la sensazione non è quella di un’indagine destinata a progredire rapidamente.
Mentre gli inquirenti continuano a lavorare, si registrano anche le prime dichiarazioni della donna che era con Nirta quando è stato ucciso, cui era legato sentimentalmente. Si chiama Cristina ed è di nazionalità romena. Del momento in cui la situazione è precipitata, sull’ingresso della casa di campagna affittata dal pluripregiudicato calabrese, ricorda: “sono scappata, senza pensare”. Mentre fuggiva, ha sentito degli spari: “sette od otto, non so… Non so come ho fatto a fuggire”. Una constatazione fatta loro anche dagli agenti della Guardia Civil che, una volta giunti sulla scena del delitto, l’hanno trovata “nata sotto una buona stella, ad essere ancora viva”.
Della sua vita con il 52enne di San Luca dice che “lavorava in una società di distribuzione e vendita di ostriche, ma non ne so nulla perché quando eravamo insieme, lui non mi diceva niente e io non gliene chiedevo”. “Il mio fidanzato – ha aggiunto la donna, che ha fatto risalire l’inizio del suo rapporto con Nirta ad un anno e mezzo fa circa – cercava clienti cui vendere ostriche. Non aveva problemi con nessuno e non l’ho mai visto indispettito. Non aveva nemici e non mi ha mai parlato male di nessuno”. Una situazione che fa sì che Cristina non abbia “idea del perché le cose siano andate a finire così”.
La Guardia Civil l’ha interrogata più volte tra venerdì sera e sabato, ma lei non fa altro che chiedersi: “chi è stato? Perché l’hanno ucciso?”. La donna ha raccontato agli inquirenti che il suo compagno “era sempre in viaggio in Francia e Catalunya per lavoro. Non passava molto tempo nella casa di Aguilas, dove viveva da solo. Quando riuscivo, lo raggiungevo, ma per la maggior parte del tempo era via. Mi diceva di essere impegnato con il lavoro e per me andava bene così. In questo senso, avevamo un gran rispetto reciproco e non eravamo coinvolti l’uno nel lavoro dell’altra”.
“Spesso – ha aggiunto Cristina – lo chiamavo per chiedergli quando sarebbe tornato ad Aguilas e mi rispondeva che non ci sarebbe voluto molto. Quando arrivava, Giuseppe mi contattava e passavamo del tempo assieme. In quei casi, mi spostavo nella sua casa di campagna”. La sera in cui i killer hanno freddato Nirta, lui era andato poco prima a prendere la donna al lavoro. Giunti alla casa, in un’area rurale chiamata El Charcon, l’assalto da parte di uomini incappucciati e la fuga disperata di lei, che ora continua a ripetere incredula: “andava d’accordo con tutti. Era un uomo davvero calmo”.